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Visualizzazione dei post da novembre, 2013

Non conosco il tuo nome

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In quel momento apparve la volpe. […] "Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono così triste... " "Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata". [...] "Che cosa vuol dire "addomesticare"?" […] "È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami..." "Creare dei legami?" "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo". […] "La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se

Sotto gli ombrelli

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Piove, ancora.  Mi sembra non abbia mai smesso. Quando piove ho sempre l'impressione di conoscerti ancora, di averti ancora al mio fianco, di avere ancora la mia amica vicina a me. Quando piove ho l'impressione che il tempo si fermi: non riesco a fermare la pioggia con le mani, non riesco a mettere una diga a quello che mi accade addosso. Aspetto solo che l'acqua mi lavi e mi renda più leggero. Quando piove ho l'impressione che il tempo torni indietro: i vetri bagnati mi ricordano i miei due vetri, bagnati anche quelli. Quelle misere lenti che non potevano fare altro che bearsi del tuo sguardo innamorato (mi piace pensare lo fosse davvero), che non potevano fare altro che arginare le gocce di felicità che scorrevano dal cuore fino a te, che non potevano far altro che guardarti e sorridere. Sorridere, perché tu non conoscessi quale segreta sorgente mi era nata in petto. Quando piove, il tempo si riavvolge come un vecchio nastro su cui premo solo il tasto play: la

Appena sotto la pelle... e poco più sotto

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Ecco dove sei: appena sotto la pelle. Appena sotto il sottile strato di coscienza che si è posto in dovere di non pensarti più. Da dove sei ora, non posso scacciarti: sei sotto la pelle. Sei protetta da quella sottile ed intangibile guaina di razionalità che protegge il mio essere-sopra dal mio essere-sotto . Ti sei aggiunta a tutti i demoni che sono il mio essere-sotto . Dietro gli occhi, la mente produce immagini di tenebra… Sotto la pelle sei protetta, non posso toccarti: giaci sotto la coscienza razionale, che il tuo pensiero torna a tormentare quando, di notte, le barriere si fanno sottili e permeabili ed i sogni, più sottili e leggeri dell’aria e dell’acqua, escono dall’utero che li ha generati e traversano le più ferree certezze e consapevolezze. Ed io, per quanto posso, prendo come mia la colpa di trattenere il tuo pensiero lì, sempre lì, infinitamente prima che il sogno si consumi (consumi se stesso) e non abbia più alcunché da sognare. Ecco, allora, che la tu

Lettera (nuova) alla donna che verrà

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Carissima donna che verrai, sono addolorato, assai addolorato, nel dirti che ormai dispero vederti. Ho creduto, in una bellissima ed inconsistente illusione, di averti finalmente trovata avendo però dimenticato tutto il percorso che mi aveva portato a scriverti appena lo scorso Luglio: avevo dimenticato che nella mia vita ci sono state, ci sono e ci saranno molte “persone giuste” ; persone per le quali, tuttavia, io non sarò mai quello giusto. Quasi esattamente un anno fa, lo avevo capito ed il capirlo aveva dato origine a quella profonda consapevolezza che volle dapprima che io parlassi con Zippora riguardo i miei sentimenti per lei e, di poi, che io approdassi alle soglie delle ragioni del cuore e scrivessi a te, donna della mia vita, la lettera che un giorno leggerai. Sono addolorato, assai addolorato… Questa volta ho creduto, per poco, di averti davvero trovata; ho creduto, per poco, che la donna dai capelli di grano e gli occhi di selva, che avevo legata a me con u

Banalità

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Piove, ho intenzione di lasciarti andare. Ho intenzione di non aggrapparmi più ferocemente al tuo ricordo. Voglio liberarmi. Non da te, ma da questo peso: il peso della sofferenza che mi opprime. Ho giocato con la grammatica dell'amore credendo di poterla sovvertire come uso fare con la grammatica delle parole, da suo custode qual sono. Ho riempito, perché tutto mi fosse meno greve, di altro e di altre i momenti che ti erano riservati. Di altre gioie, di altre persone, di altre attenzioni. Eppure, nessuno mai è riuscito a darmi quella pienezza che avevo solo quando quei momenti erano condivisi con te. Allora ho capito: ho capito che devo smettere di riempire il tempo che ti serbavo di cose altre e, al contrario, riappropriarmene. In tal modo non è a te, che non sei più, che lo nego: lo nego al tuo ricordo doloroso ed alla sofferenza. Farò così, perché solo in questo modo potrò andare avanti. Sarò ancora ferito, proverò ancora dolore, ti porterò ancora affetto (ancora per

Sicomoro

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Lc 19, 1-6 Salire è semplice, l’ho fatto molte altre volte sebbene non per motivi altrettanto buoni, sebbene fossi assai più piccino. Questa volta c’è qualcosa di diverso: io. Io sono diverso. Ma diverso da chi? Diverso da quando? Diverso da me stesso, diverso dall’immagine di quel bambino che piange al Cielo, con lo sguardo smarrito di chi ha perso un’altra certezza oltre quella, dapprima così sicura, della propria lingua e della propria terra. Ero straniero in terra straniera, di casa per chi mi diceva essere a casa. Ancora oggi, calco quella terra da straniero. Sono diverso dal bambino che pianse al Cielo stellato quella notte. Ma non così tanto: il mio volto è similissimo ancora, il mio animo è solo più temprato. Come allora, però, reprimo le lacrime in seno: è il silenzio del mio mare, che si fa burrasca quando qualcosa o qualcuno mi scuote l’animo. Ho atteso questo momento per dieci anni: per dieci lunghi anni ho atteso che tu tornassi e potessi così renderti a