Sicomoro


Salire è semplice, l’ho fatto molte altre volte sebbene non per motivi altrettanto buoni, sebbene fossi assai più piccino. Questa volta c’è qualcosa di diverso: io.
Io sono diverso. Ma diverso da chi? Diverso da quando?
Diverso da me stesso, diverso dall’immagine di quel bambino che piange al Cielo, con lo sguardo smarrito di chi ha perso un’altra certezza oltre quella, dapprima così sicura, della propria lingua e della propria terra. Ero straniero in terra straniera,
di casa per chi mi diceva essere a casa. Ancora oggi, calco quella terra da straniero.
Sono diverso dal bambino che pianse al Cielo stellato quella notte. Ma non così tanto: il mio volto è similissimo ancora, il mio animo è solo più temprato.
Come allora, però, reprimo le lacrime in seno: è il silenzio del mio mare, che si fa burrasca quando qualcosa o qualcuno mi scuote l’animo.
Ho atteso questo momento per dieci anni: per dieci lunghi anni ho atteso che tu tornassi e potessi così renderti anch’io l’estremo omaggio.
Eri assai atteso ed io non so, te lo dico onestamente, la ragione del perché piangessi. Le lacrime del lutto di quel bambino, si mischiavano a quelle di gioia del giovane che ti ha visto tornare con onore: omaggiato e portato in spalla da quelli che sempre t’hanno amato.
Il mio nome è Zaccheo, sono pubblicano e ricco: sono ricco di quei talenti che Lui m’ha dato e con i quali continuo ad innalzarmi “super alios”, sono pubblicano che s’è venduto l’anima per esser capace di schiacciare gli altri; in questo ho investito i miei talenti, così li ho cresciuti e affinati: privando gli altri dei propri, portando loro alla vergogna.
Sono peccatore. Ma peccatore dagli slanci onesti: mi sono arrampicato lì sopra per poter vedere meglio la tua bara. Ma la mano non prendeva, il muro era scivoloso, e l’ho poggiata nell’unico appiglio saldo che ho trovato. Era un piede.
Il piede della Madre Sua Addolorata, che contemplava il Figlio adagiato sulle proprie ginocchia. È stato strano appigliarsi proprio a quella scultura: la mano che l’ha toccata disse alla memoria che eri stato tu a farle fare.
Belle e piene di magnifica espressione le sculture di legno della via Crucis, accanto alle quali stanno le preghiere che tu hai scritte e fatto scrivere.
Dall’alto di un pilastro, ai piedi dell’Addolorata: quello è stato il mio sicomoro. Curiosità? Forse, ma può davvero essere stata solo la curiosità a farmi compiere un gesto che altrimenti non avrei mai compiuto? Può essere stata solo la curiosità a farmi compiere un gesto che non ripetevo da anni, da quando ero piccino?
Non credo. Non credo fosse solo curiosità la mia. Si tratta del magnetismo che esercitavi e che continui ad esercitare: la bellezza della tua persona, del tuo essere sacerdote, del tuo essere cristiano, del tuo essere uomo. Vero.
Come il Maestro, da cui tutto hai appreso. Anche il modo di non essere sconfitto dalla morte, di dire a tutti “Coraggio!” -sorridendo- quando altri non l’avrebbero mai fatto.
Peccatore dagli slanci onesti sono: come Zaccheo mi sono voluto arrampicare per vederti meglio.
Per vedere meglio te, che sei stato il vero sicomoro della mia comunità per anni:
il tuo stare nella Chiesa, il tuo essere Chiesa, passava direttamente attraverso la tua vocazione. Da sacerdote, sei stato più di un semplice pastore: attraverso di te, l’albero forte che innalza e permette di vedere, in tanti sono arrivati al tuo Signore.
E di questo tu sei sempre stato contento: di essere solo quell’albero, non altissimo ma necessario, che alza forte al Cielo il cuore ed il desiderio di chi vuole incontrare Lui.
Ti hanno voluto bene e questo affetto lo hanno manifestato negli anni chiamandoti in tanti modi: uomo di fede, uomo di preghiera, grande uomo, sacerdote vero, sacerdote come non ne fanno più, consigliere affidabile, confessore infaticabile e tanti, tanti altri titoli hanno aggiunto al tuo nome, alla stregua di un Re.

Io te ne do solo uno: UOMO. Uomo, come Lui, sul suo modello, alla sua stregua. Uomo davvero, sacerdote per sempre.

Ed a chi legge, come tu avresti fatto, come segno rassicurante, come garanzia del mio affetto, della mia vicinanza e della fratellanza più sincere, io dico:
“Siamo uno, tu mi appartieni”.

Claudio

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