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Visualizzazione dei post da 2018

Lettera aperta all'Azione Cattolica

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Cara vecchia Azione Cattolica, eh sì, vecchia. Vecchia non solo per i tuoi centocinquant'anni (che son portati più che rispettosamente) ma vecchia nel tuo comprendere ed afferrare i meccanismi di questo nostro mondo che recepisci sempre troppo in ritardo. Oggi, anche tu hai ceduto a Facebook, Instagram e Twitter; hai blog, siti e diramazioni diocesane sempre piene di iniziative e convegni da proporre. Hai la grinta delle canzoncine da proporre ogni anno per l'A.C.R. ed in Piazza San Pietro per i raduni nazionali, hai i colori sgargianti delle tue guide che invitano i giovani ed i meno giovani a guardare questo nostro tempo per osservarne e carpirne i segni dei tempi, hai le braccia aperte dei tuoi numerosi progetti diocesani di accoglienza universitaria e le mani operose di chi si impegna contro il gioco d'azzardo, hai il gusto dell'approfondimento della Parola grazie ai tuoi assistenti e l'odore dei libri scritti e letti dai tuoi tanti soci, sempre così impor

C'era una volta, ma solo lì...

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Claudio

Pellicole

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Sapete, cari quattro lettori, a cosa è davvero assimilabile il nostro cuore? No, niente giochini o immagini strane quest'oggi. Per rispondere a questa domanda non dovrete far altro che guardare nelle vostre tasche, sulla vostra scrivania o nella mano con cui state leggendo questo post. Ebbene sì, il cuore è davvero molto molto simile allo stramaledetto apparecchio intelligente che vi ritrovate per le mani quasi ogni giorno. Non all'apparecchio intero però, neppure ad una delle sue molte funzioni, no; ad una singola applicazione, bensì. Se davvero vogliamo saper leggere il nostro cuore, o quantomeno le sue condizioni attuali, dobbiamo allora rivolgerci proprio all'app Galleria del nostro smartphone. Vi invito adesso ad aprirla insieme a me , a scorrerla senza passare attraverso complicate funzioni o filtri e neppure nelle articolate visualizzazioni per album, luogo o persone incluse nelle foto. Vi invito, invece, a scorrere gli scatti in ordine cronologico , andando a ri

Even mine

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Sembra difficile farsene una ragione e, talvolta, si approccia la questione con tanti giri di parole, tante teorie e tanti discorsi puramente teorici. Per quasi sei mesi è quello che ho ampiamente fatto anch’io. Tutte le storie finiscono Cicci cari, ma questo lo sapete perché ve l’ho già detto. Ciò che stavolta voglio aggiungere, è semplicemente questo: “Tutte le storie finiscono, anche le mie”. Non credo ci sia bisogno di chiarirlo se mi leggete da almeno un poco più di qualche mese: la mia storia durata tre anni e mezzo, e di cui pure ho scritto (sebbene assai poco ed assai raramente) in questi anni, è finita. È finita ma è la prima volta che lo scrivo, perciò forse è davvero la prima volta che lo dico a me stesso con forza e con quel senso di compiutezza che dovrebbe esser proprio di ogni chiusura. Non c’è neppure molto da dire, non credo almeno. È finita, per tanti motivi, tante cose: private, perlopiù, perciò abbiate la buona grazia di non fare domande. È qualcosa di nuovo

All stories come to an end

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Tutte le storie finiscono cicci cari. In fondo, se termina un’opera come la Commedia o certi bei romanzi che ti fracassano l’amigdala fino a produrre tanta di quella acetilcolina che il corpo sente l’esigenza di espellere qualcosa, proprio non capisco perché non dovrebbe terminare una storia d’amore. Belle o brutte che siano, le storie hanno termine. Sempre. Solo che nella maggior parte dei casi non è certamente la morte, come tanto si spererebbe in quelle fasi iniziali piene di ormoni e buoni sentimenti, a trarcene via; no assolutamente. La maggior parte delle volte, uno dei due, oppure ambedue, decidono che si son rotti l’anima di farsi ancora del male e decidono così di separarsi. A questo punto, sussistono generalmente tre casi: 1)       Tutti e due si amano alla follia ma non possono fare a meno di dirsene di tutti i colori, farsi male fin nelle ossa e maciullarsi le carni stando insieme . Ah! I miei amori preferiti! Perché? Perché in fin dei conti sono proprio quelli

Come qahwa

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all'ultima Donna della Costanza Se tu fossi un caffè , esalterei le tue rotondità , voluttuose al palato, il mio; suggendo l'anima tua densa , e corposa , a rubarla al respiro dolce cui appartiene: quasi potessi giungere col fiato fermo e corto alle tue labbra, temendone un bacio ma già respirandolo nel soffio che lo prepara. Se tu fossi un caffè , soltanto la luce parlerebbe i tuoi riflessi dorati ed il tuo colore bruno e scuro, soltanto la luce testimonierebbe la tua casta nudità e la fecondità dei nostri amplessi aperti e inverecondi: di quella conoscenza orizzontale che racconta e prati e monti e colli di diletto . Se tu fossi un caffè ( Iddio me ne è testimonio ), ti lascerei bruciare ogni grano, come incenso che salga a dar profumo all'aria che ti adorna ed incorona; come Kaldi siederei a cantarti, tanta è l' intensità del mio affetto e tanto incestuosamente filiale è la mia dedizione: perché mi incateni a te con l'ebbrezza del preferito tra i mi

Se (9496)

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E se fosse possibile scrivere una lettera al se stesso di dieci anni fa? Caro Claudio , come stai? Sono te, solo dieci anni più grande: sono il Claudio del 2018. Ritengo di volerti, ed in parte di doverti, dire tante cose. Non so esattamente da dove partire. La mia vita, ( pardon , nostra ) non è cambiata poi tanto. Sai, frequentiamo l'università. Probabilmente, ti chiederai come sia possibile: diciamo che i nostri piani non sono andati esattamente come li avevamo previsti ed immaginati. In effetti, tutta la nostra vita ha preso una piega strana: non voglio anticiparti poi molto ma credo che essere più preparati a ciò che verrà non potrà certo nuocerti. Frequentiamo l'Università in una città che amiamo, e di cui pure non voglio farti il nome per non condizionare le tue eventuali scelte future, e frequentiamo una facoltà che amiamo (più o meno): diciamo che, quantomeno sulla facoltà, abbiamo fatto una scelta discutibile e che ci ha divisi fino all'ultimo ma che è nost

Canto mongolo

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Il treno non si muove. I paesaggi che fino a poco prima si sono susseguiti rincorrendosi, hanno ora lasciato il passo ad un pallido biancore: arranchiamo nella neve. Non posso allora non pensare, fissando questo tutto che si riduce ad un nulla monoespressivo, ma di una virginea bellezza, che questo è l'unico segno del cielo che non ci ha mai visti in uno dei nostri abbracci stretti . Ho sempre molto desiderato, fintantoché ancora sommavamo i nostri giorni insieme, ho desiderato che questo testimone del cielo ci vedesse così: noi, semplicemente . Uniti in uno di quegli abbracci in cui non si saprebbe dire il proprio estremo limite, tanto si è formati all'altrui forma. Avrei desiderato la neve ci cogliesse così: candidi anche noi . Pallidi, esanimi per la fatica, avvolti da quei sudari di dolcezza che erano, in quei momenti, le nostre lenzuola. Talvolta, solevo immaginarci più bianchi della neve stessa: quasi che la nebbia del mattino, entrando dall'ampia finestra, pot

Schermo che mi scampi

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Durante una delle lezioni del primo anno, la docente di Letteratura italiana principiò dicendo: " Non chiedermi questo, lo sai: l'amore è una cosa per giovani ". Una sommessa risatina accompagnò questo suo intervento e si protrasse finché non spiegò a cosa si stesse riferendo: era una citazione da una lettera che il Piccolomini mandava ad un amico che gli aveva richiesto una storia d'amore. Ricordo come rimasi traumatizzato dalla prepotente idiozia che si imponeva lungo tutto quello scritto e saliva a galla nei punti in cui l'autore più voleva accentuare la forza legante di Amore, che coi lacci tiene le corde. Ad ogni modo, me lo chiesi davvero se fosse così, se cioè l'amore fosse davvero solo per i giovani. L'uomo che lo scrisse aveva quarant'anni (ed una lunga carriera di celibato davanti a sé, anche se ancora non poteva saperlo) e forse il suo tempo ne decretava una più che prematura vecchiaia o, forse, aveva già così intensamente vissuto da non

Senza rime

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Piove, di nuovo. Vorrei averti accanto. Vorrei saperti alla portata del mio braccio curioso, come in una di quelle mattine assolate di Luglio, quando tenderti un braccio era il gesto con cui mi traevi via dai flutti della mia procellosa esistenza: perché tu sapevi come afferrarmi davvero , e le tue labbra dischiuse conoscevano come salvarmi . Piove, di nuovo. Vorrei averti accanto, vorrei averti ancora accanto: non come quelle Domeniche quando a svegliarci era il ticchettio della pioggia che disegnava il vetro con tele di rigagnoli, perché i vetri erano assai spesso i nostri e la cortina della pioggia si stendava fra i nostri due letti. Vorrei, invece, averti accanto come in una di quelle Domeniche troppo pigre e fredde, quando Iddio lasciava che il sole riposasse i suoi deboli raggi sopra una coltre di quelle nubi fatte di stanchezza, e ci bastava solo un caffè ed un bacio lesto, scambiati sotto il piumone, per conoscere una felicità così quotidiana. Piove, di nuovo. Risc