Ozymandias, ovvero le vestigia della mia grandezza

Passati sono i tempi nei quali agivo come un ‘tombeur de femmes’, con una compassata disinvoltura (in verità mai posseduta) che sempre malcelava la mia rigidità. I capelli cadono, una incipiente calvizie avanza trasformando la mia testa in una agorà, ma non per idee. Indosso un ridicolo taglio di barba che mi ricorda e la mia pigrizia nel raderla con frequenza e la necessità di caratterizzare un volto con qualcosa che, una volta almeno, possa essere io -e non il tempo- a decidere.

Mentre la mia intelligenza perde progressivamente il suo lustro e la sua effervescenza, la mia aura di bislaccheria il suo smalto. I modi una volta compassati ed eleganti si fanno solo più bruschi, l'educazione si muta in affettazione apertamente ironica, quando non sarcastica.
La brillantezza di tutta la mia persona, mostra le sue crepe decadenti.

Eccola l'età del cambiamento, eccola la fine dei vent'anni: gastrite, reflusso e dolori alla cervicale.
I poveri nervi che fanno tanta parte del conto del medico, voce gradualmente sempre più preponderante nei conti mensili. Quale è la bellezza di questa nuova età?

C'è stato un momento nel quale sono stato all'apice della mia gloria giovanile e, come per ognuno, è passato senza che io me ne avvedessi.

Se, solo dieci anni fa, mi fossi guardato in uno specchio vedendo questa immagine futura, mi sarei riconosciuto?

Forse, avrei semplicemente replicato che era un sollievo vedermi ancora lì.

Che bastardo quel ragazzo! -sempre la risposta pronta. 

Claudio

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