Tutti i gradini per casa tua

Venere e Marte, S. Botticelli; National Gallery, Londra

Ho finite le iperboli, dismessi i barocchismi, rinunciato alla comprensione piena della realtà ed ho asservito al pragmatismo più banale persino il linguaggio: avevo già capito che non c'è letteratura che valga la vita ma che la vita in nuce stesse tutta nell'essenzialità delle parole che la sostanziano e con altrettanta efficace sintesi sanno descriverne vividamente tutti gli accidenti, questo no.
Nessuno me lo aveva ancora spiegato e non pensavo che al banco del pane, in un anonimo sabato sera terracinese, l'avrei finalmente imparato.
Forse prima d'oggi non sono mai stato attento, altrimenti mi sarebbe già stato chiaro (e da molto) che dietro qualunque banco si sia -fosse pure quello del pane- bisogna accomodarsi per prendere appunti ed ascoltare la saggezza di chi arringa dalla cattedra, ornata di volumi che solo un insipiente quale sono (sic!) non riconoscerebbe come tali.
In buona attesa, col cestino pieno di latte (e che c'è di più quotidiano e banale del pane e del latte?), stavo riguardando il banco del pane cercando prima con gli occhi il taglio migliore e poi assaporando tutto quello che non avevo scelto e beandomene come un qualunque essere godereccio che non tenga conto di trovarsi alla Vigilia della Domenica delle Palme e, perciò, ancora in Quaresima: se la realtà non fosse così tragicamente banale (altro che la Harendt) potrei anche -quasi- sentirmene in colpa.
Gli occhi mi cadono allora su di una pizza bassa. La guardo e penso: "Uh, il ciaccino!"
Non capisco neppure da quale parte del cervello mi sbuchi questo sostantivo accantonato lì come una cosa morta, per l'inutilizzo, posata in un angolo e dimenticata. Persino questa citazione mi è salita alla mente con la stessa facilità con la quale il reflusso mi tormenta ogni giorno ed un nome, invece, che per anni ho usato quasi giornalmente mi son sorpreso di ritrovarmelo sulla bocca.
Mi avvicino per guardare meglio e leggo il cartellino col prezzo: "Pizza con cotto e mozzarella -recita- 1,50€ al pezzo". Quella succinta descrizione, "Pizza con cotto e mozzarella", mi spezza il cuore. Speravo davvero di trovar scritto "Ciaccino, 1,50€ al pezzo"?
Guardo attonito, imbambolato, quei due pezzi di pizza ormai fredda e lì sicuramente dal mattino, attraenti quanto una suola di scarpa che si vorrebbe battere con violenza a terra per saggiarne la resistenza prima di spalmarla con abbastanza colla da farla stare, per qualche altro mese, attaccata ad una scarpa troppo economica.
Il commesso al bancone mi riguarda e mi chiama un paio di volte.
"Sì -gli rispondo- Guarda, quattro etti di quel filoncino" e lo dico con una tale esperta compassatezza che grida all'intorno tutta la sua banalità quotidiana.
Rimango tanto colpito dall'accaduto da scriverne subito ad un amico.
Finisco la spesa. Esco. Torno a casa.
Sento dal portone il cane che abbaia e latra -devo ancora farlo uscire- mi ha visto dal balcone.
Apro, faccio per salire le scale al buio, e guardo in alto. Questa volta accuso chiaramento il colpo, mentre il tempo pare dilatarsi sotto la lente del mio ricordo e restituirmi immagini che pensavo perdute: rivedo l'androne del tuo palazzo, con la pietra sporca e grezza dei gradini tanto corta che a tratti mi pareva di arrampicarmi più che di salire, ed interrogandomi, come la Di Mauro ben mi aveva insegnato, sul fatto che quello non potesse essere il corretto rapporto fra alzata e pedata e quale malata mente avesse perciò potuto concepire piani così alti e così poco spazio per salirvi: la tredicesima fatica di un Ercole spezzato dalla vecchiaia, come già mi vedevo, un'ordalia amorosa senza onore ma dalla certa vittoria.
Rimbrottavo e lamentavo il doverle salirle, specie con la spesa, e potrei aver commentato facendo qualche poco opportuna similitudine con i muli carichi che almeno non erano coscienti del loro affanno. In quel giù-su, giù-su, ripetuto fino al terzo piano, accusando una forse scarsa virilità, lasciavo che tu mi precedessi e trovavo 
allora, ipnotizzato, tutte le ragioni per seguitare in silenzio: in quello spazio grigio di non esistenza, io ero più vivo che mai, l'ombra più colorata che vi fosse mai passata. Prosaico, nevvero?
Ho percepito chiaramente come un dardo colpire ed attraversare la mia fronte ed una finestra aprirsi dalla mia quotidianeità all'epos passato: non ho mai saputo che quella volta sarebbe stata l'ultima in cui li avrei saliti e poi, mesto, scesi. Non potevo immaginare che quella semplice fatica mi sarebbe addirittura mancata. Se ne fossi stato conscio, avrei dato un valore a quei passi, un sentimento più dolce alla mia per loro avversione, un numero a quei gradini. Se ne fossi stato conscio, certo. Eccomi qui, invece, sconfitto e risconfitto. Giocato dalla paura e dall'amore, sottomesso ad una devozione privata del suo nome e del suo culto: un Marte vinto, sconfitto, nella sua placida morte, mentre rievoca un fantasma che non esiste solo per non ammettere di star parlandosi addosso.
Tutto questo, per aver visto un ciaccino al supermercato: la prossima volta me lo compro, ché forse è meglio una gastrite di questa menata!

Claudio

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