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Continuo ad osservare i mutamenti e gli stravolgimenti dell’universo e nelle sue sfere fisse ho ficcato i miei occhi tanto a fondo da non vedere ormai altro che intensa luce. Ho osservato le stolide meccaniche degli astri che avanzano in processioni irrituali e si fanno beffe della mia filosofia, scrutato il bagliore lontano delle lune nelle loro rotazioni, adempiuto alle computazioni dei movimenti delle sfere celesti, descritti i baluginii delle superfici di mondi lontani e mirati solo attraverso lenti che non erano mai le mie proprie. Ho vista la totalità estensiva della vita, così come potrebbe vedersi un’epifania capace di cogliere l’armonia di ogni cosa: l’ho permeata tanto a fondo da vedere il cuore stesso della vita e nella sua impressione, ho scorto il tuo nome. Sei ancora la radice di senso che rende possibili queste parole, il paradigma ultimo che le affranca dalla ripetizione monadica del quotidiano. Continuo a vivere nell’ombra della tua astrazione, guardando a quell’impossibile “noi” come il più perfetto sistema binario che si potesse concepire. Faticano le parole dei miei solerti suggeritori a giungere anche appena oltre il timpano e dei loro discorsi pieni di nuovi inizi, comprendo solo l’orlo del mio calzino, che rimiro colpevolmente mentre mi parlano. Ho un amore così grande, che nel ridirlo mi vedo trarre in impaccio da me medesimo e lo descrivo come potrebbe descriversi solo la complessità del vasto impianto architetturale del mondo stesso. “Io non so parlare d’amore”, perché non capisco ancora come potrebbe non essere parlar di te e non so se conosco abbastanza da poterlo tuttora fare.
Tanta parte dei miei anni migliori l’ho spesa a levare quanto di tuo sopravanzava nella mia vita, a porgli confini come taluni avrebbero fatto al mare, a levare pretese roboanti sopra il suono delle giuste ammende richieste. Ora è così facile dire che il cuore pare pulsare e sentire, desiderare insomma, quell’affetto stretto a lungo repulso (sebbene non necessariamente da te). Ho confuso l’amore con la sua rappresentazione e di quella realtà non ho saputo vivere che l’esteriorità della condizione ed oggi, negli attimi impressi che gli sono avanzati, rivedo un me più felice perché capace di scorgere aldilà delle lenti e della messa a fuoco la ragione di quella fisiologia della felicità concreta. Però non maledico più le avverse stelle, né bestemmio un fato irragionevolmente ritenuto ingrato: nel mio accostare la vita all’arte, ho fatto della prima una strada e della seconda un riferimento; solo che non esiste una mimesi della vita che sia altrettanto vera.
Così adesso ho questo sentimento, che continuamente mi si ripropone e mi attraversa ed imparo da lui ogni volta più perché nel suo alienarsi si raffronta col mondo e torna poi a dirmi com’era, questo sentimento che mi accompagna.
Ho questo amore, che nel suo perpetuo congedo è diventato un compagno di viaggio, un vecchio amico, calmo e senza sgomento. Viene con me, mi parla di te (incrocio per la via tanti sguardi e spero di trovare quello che incontrerà il mio con altrettanta curiosità), ed io lo ascolto buono perché di tutti i miei studi sei sempre stata la mia disciplina preferita.

Claudio



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