Se tu fossi ancora


Ho nuove storie da raccontare, versi e strumenti che troveresti buffi come quelli che ci scambiavamo durante i giorni del nostro corteggiamento (della nostra conoscenza, dovrei forse meglio dire), quand'io cercavo di passarmi per l'uomo che non ero e tu mi seducevi col tuo -timido?- silenzio.
Anche su quello ho oggi dei dubbi, perché nel nostro esserci resi vicendevolmente uomo e donna, c'era qualcosa che niente aveva a che fare col sesso e tutto, invece, con la ragione prima dell'esistere.
Ne avevo idea? -ne avevamo?- Eravamo pienamente coscienti di quello che stava accadendo in quelle serate silenziose, quei giorni tirati a far tardi che si gettavano con impeto nel successivo e che riempivo con tante parole (forse più per la gioia di aver trovato qualcuno che le ascoltasse e nella quale potessi trovare quella corrispondenza elementare che fondò nell'amore i progenitori di ogni sentire umano) -e che riempivo con tante parole, dicevo, per darmi un tono che doveva parerti davvero patetico già allora? Che uomo pensavi fossi?
Perché, e lo ammetto con amarezza, ho spesso finito per parlarmi addosso in quello slancio nel quale cercavo invece, per imitazione, di spronarti a parlare: spronare te, che sei sempre stata una donna d'azione, certo, ma di poche parole nel pubblico (non fraintendermi, ritengo sia una virtù assai più rara di quanto si possa sospettare) e molte ma chiare idee nel privato.
Ti ammiravo più di quanto ti abbia mai detto.
Alla donna che eri, piacerebbe l'uomo che sono diventato; sebbene credo tu abbia tentato di amare, più volte respinta, l'uomo di carta che avevi davanti: costruito a tavolino da me, per affrontare la vita come pensavo mi si sarebbe proposta e non già come era, e poi è stata, nell'intera sua crudezza.
Al di là di questa superbia che mi ha spezzato come uomo, temo spesso che non riamarti sia stato quell'unico grande peccato di gioventù dal quale non mi riavrò mai. Tutti ne hanno uno: chi il lavoro, chi gli studi, chi -per l'appunto- il sentimento. Ma il tentare, il pensare di farlo, e l'averlo -chissà- effettivamente fatto, è stata la gioia più grande della mia vita sinora; tanto grande da riversarsi col fragore degli anni, dei ripensamenti e della gioventù e scavare un'alveo che, nella geografia del mio cuore e delle mie passioni, abbia disegnato un corso tanto largo e profondo da aver reso questo rivo croccolante il maggior confluente di ogni mio affetto.
Altrimenti non credo starei qui, alle 2:40 del mattino del 3 di Settembre di sette anni dopo, a scrivere di una persona che mi è sovvenuta alla mente poco prima, nella quiete di una casa che ho trovata silenziosa in modo quasi disturbante e che ho riguardato timoroso, come avrei fatto -credo- da bambino se mi fossi svegliato nel cuore della notte cercando dell'acqua e non udendo un solo respiro umano, fosse pure quello del mio cane (il cui stomaco, di quando in quando, gorgoglia vistosamente ma che il veterinario ha messo a dieta) che pure ancora non avevo.
Che devo fare per dimenticarti? Appurato che l'amore non si scordi, cosa devo fare perché tu non mi sovvenga così spesso alla mente? Perché io smetta di considerare, ritenere, credere d'agire, come ormai ho capito tu avresti ritenuto più efficace. Come devo fare? Te la pongo, ammesso che tu legga ancora queste pagine, come domanda sincera; senza quella vena polemica che mi caratterizzava, senza infingimenti, senza retorica alcuna. Sto qui, ancora una volta innanzi alla te che eri, e ti chiedo: come posso smettere di considerarti ancora un riferimento che orienti una vita che, dopo te, ha segnato più anni nella tua assenza di quelli passati nella nostra unione?
Se tu fossi ancora, come vorrei potessi rispondere.
Fosse anche solo per ridere, un'ultima volta insieme, delle mie nuove storielle.
Ciao Monica.

Chandler

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