L'orologio


Miei amatissimi, mercoledì sera, come sapete, mi sono recato all'incontro con il gruppo di A.C. L'incontro è stato piacevole: discusso, animato, colorito. Insomma, ci son stati pareri controversi su questioni di cui presto vi informerò e che molto ricalcano quella espressa in "Fame di voce". Credo che le giornate appropriate saranno quelle delle prossime feste nazionali. Prima dell'incontro, e subito dopo la cena che lo ha seguito, mi sono fermato a riflettere su un orologio appeso al muro.
Un grande orologio analogico, in plastica, funzionante ma rotto in più punti: la schermatura in plastica trasparente completamente assente.
I minuti ed i secondi continuavano a passare in un flusso ininterrotto e, benché consultassi puntualmente il mio orologio ogni cinque minuti, mi sembrava rendere più realistico, più temibile ed anco più veloce il fluire del tempo che precipitava verso la fatica data: il ventidue marzo.
Già, il mio compleanno.
Scrivo questo post ora: ora che questa terribile giornata è solo un ricordo. Vivido e vivo ancora, certo, ma pur sempre un ricordo.
Non amo il mio compleanno, ve lo dissi. Mi riservo la facoltà di non dirvi il perché. Sappiate solo che ho smesso di festeggiarlo quando m'è diventato greve, quando l'anima m'è diventata pesante e non vi trovavo più gioia. Come pure non ne ho trovata ieri. Ma spesso, gli affetti che ci si dichiarano cari, non sanno guardare oltre l'apparenza di queste cagionevoli carni o oltre queste parole. Ignorano il cuore e non ne scrutano le ragioni profonde ma tutto, tutto perché questo mezzo di trascinamento su questa terra resti in salute. Ma non leggono i cuori...
Non li leggono e neppure si domandano qualche semplice perché: cosa c'è di più normale dell'umana curiosità?
La verità è che la presunzione della lunga conoscenza assopisce anche questo più ovvio "filantropismo". Non ho voglia di narrarvi questa giornata, sono stanco. La mente è stanca al ricordo: questa mente, che può subire qualsiasi genere di sopruso ma non lo scavalcamento, non la mancanza di rispetto. Esistono principi di morale civile che la barbarie degli affetti ciechi e sordi e privi di ogni forma di rispetto, ignora completamente.
Contro questa, io, innalzo il mio vessillo: e se dovrò suggellare, come un mendico, con un continuo pellegrinaggio questa lotta, ben lo farò!
Perché, il fio, è la più ampia libertà. La sua rinuncia.
Guardando quell'orologio mi son fortemente dovuto controllare e desistere dal riportare indietro le lancette con il dito, come da bambino.
No, non per giuoco questa volta. Davvero avrei mille volte preferito cento ore uguali, un eterno ritorno, che vivere questo giorno e sebbene sia iniziato in modo burlesco, ma passabile, è terminato nel peggiore dei modi: con la mia volontà spezzata ed il mio onore macchiato.
Termino, miei amati, con qualche parola dal Libro di Giobbe (3; 3, 6):
[3] Perisca il giorno in cui nacqui
e la notte in cui si disse: "È stato concepito un
uomo!".
 [6] Quel giorno lo possieda il buio
non si aggiunga ai giorni dell'anno,
non entri nel conto dei mesi.

Vostro, Claudio

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