La fuga


Miei amati cari quattro lettori, torno a scrivervi dopo essere tornato da casa. Ho molte cose da dirvi ma la prima è questa: non sono andato via per "ricaricarmi" o perché impossibilitato questo mese.
Sono fuggito (ebbene è proprio così) da Siena per paura di poterla incontrare. Sono fuggito da Siena per paura di quello che sarebbe potuto accadere incontrandola. Sono fuggito per paura di me stesso, delle reazioni incontrollate del mio corpo: sono fuggito per paura, per vigliaccheria, per orgoglio. Paura non di lei ma di me stesso, della mia mente.
Vigliaccheria ancora verso me stesso che m'ero ripromesso che questa volta li avrei affrontati a testa alta. Orgoglio, perché se m'avesse visto chinato miserabilmente a terra sarebbe stato quello il mio più grande dolore, non tutti i dolori che possono suscitarmi i miei "amici". Il suo dolore e la sua empatica sofferenza nel vedermi così, sarebbero stati i miei.
Quando mi accorsi che era una fuga? Il giorno della partenza.
Mancai il primo treno per ozio ed il secondo per inconsapevolezza.
Dovendo prendere l'ultimo treno (ma ben siete a conoscenza della mia accidia), mi organizzai all'ultimo.
Partendo come un matto, con i minuti contati, dovendo ancora fare la valigia e organizzare i libri per il breve studio.
Riempii la valigia al volo, quasi vuota a dire il vero.
Misi il cappotto, la tracolla e la borsa del pc l'una sull'altra, e mi precipitai fuori non firmando nemmeno il foglio d'uscita, tanto ero in ritardo.
Circa a metà strada una chiamata: era mio zio; suggeriva di non affannarmi e di venire il giorno dopo con calma, scherzando e dicendo
"Che fai? Qualcuno ti deve menare? Fuggi?".
In quel momento acquisii la consapevolezza che non stavo andando a casa come al solito: quella mia fretta, il fuggire col poco e necessario, sapeva di fuga; e scherzando se ne era accorta una persona lontana oltre trecento kilometri.
Ieri è stato mercoledì, lei non c'era: la cosa in parte m'ha rattristato ed in parte rallegrato. Rattristato perché, lo sapete, vederla mi sembra come un altro mondo. Rallegrato perché temevo un nuovo attacco e temevo che la cara amica, alla quale mi sono rivolto nel caso i miei "amici" si facessero vivi, potesse capire chi in verità fosse la mia Elisa.
Prima o poi, comunque, lo capirà. Andrà per esclusione.
La serata è stata comunque piacevole. Non esaltante, ma piacevole.
Forse è proprio la chiusura ad esser stata la parte migliore.
Parlare mi fa bene, è una sorta di catarsi. Mi rigenero.
Anche se, lo confesso, ad un punto ho cominciato a prendere le cose con leggerezza. Se prendessi tutto sempre seriamente come ho fatto in passato, che ne sarebbe della mia salute mentale? Che dei miei sentimenti? Impazzirei o tornerei a chiudermi a corazza. La pesantezza delle mie parole deve essere calcolata altrimenti rischio di farmi male e comunque, lo sapete, dopo le undici non formulo più un pensiero degno della mia persona.
No, non per la stanchezza. Semplicemente perché è così: l'ho constatato col tempo.
Comunque, tornando a noi: a casa mia è andata in modo normale.
Ho rivisto Don Vitale: mi da sempre gioia il vederlo, è un buon amico e con lui si chiacchiera molto bene.
Ho vista anche mia nonna, la madre di mia madre. Starà lì per un breve periodo. Aiuterà mia madre coi piccini  e poi è molto che non si vedono.
Per parte mia, per quanto sussistano le buone intenzioni, il cuore è sempre spaccato. Gli affetti, per quanto siano di sangue o meno, son sempre cose complicate. Oggi non ho nè la forza, nè la voglia di parlarne.
Questo argomento mi mette di cattivo umore.
Tornerò quando sarò più lucido. A presto miei amati. A presto.

Vostro, Claudio

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