Il caffè...


O dolce ambrosia dei terrestri, rimedio al più amaro dei veleni, panacea per le sventure di noi poveri umani. Signori, insomma, come ogni buon "terrone" (qual io sono) il culto del caffè, se non in tutta la mia famiglia almeno per me, è sacro. E "sacer" cioè maledetto, punibile, diventa chi impunemente osa svuotare la "cuccumetta" senza metterne dell'altro sul fuoco. Essendo la casa piccerella comunque si viene a sapere.
Vedete, il caffè è più di un rimedio a tutti i mali: il caffè è occasione di scambio, di incontro sociale e culturale (cioè tra le varie "culture del caffè"). Davanti ad un caffè chiunque smette di essere pretenzioso verso l'altro, è una forma di generosità liquida: "Vuoi prendere un caffè?"
"Ti offro un caffè" "Dai, sali che faccio un caffè".
Quello che c'è intorno, cioè un invito a fare due chiacchiere o un appuntamento o qualsiasi altro fine, è apparentemente accantonato dinanzi al piacere di tale invito anzi, di fronte alla generosità di tale invito.
Ebbene sì, generosità liquida. Anche perchè; alzi la mano chi, per quanto taccagno, non ha mai offerto un caffè a qualcuno? A chicchesia...
Ah, lo vedete! Me lo aspettavo. Un caffè è una piacevole abitudine, da consumarsi piano, con calma. Mai troppo zucchero e se possibile preferirlo amaro, per gustarne appieno quel retrogusto intenso che va oltre il sapore dell'acqua. Mai girato troppo. Eh, non si puo star lì a girarlo, rimestarlo più e più volte altrimenti perde l'aroma (c'è chi dira: "e a me ch'a me ne fotte, j tif Napule"). Ma non lo si può nemmeno consumare in fretta, la troppa fretta rischia di uccidere il piacere che un caffè deve suscitare nell'animo di chi lo gusta. E poi, l'ultima cosa: l'abitudine. Signori miei, il caffè deve essere un'abitudine! Perchè il caffè è fra le abitudini più semplici che possano esserci e proprio queste abitudini sono "la poesia della vita": occupano il tempo e donano serenità di spirito. Il caffè è una porta aperta al mondo, agli altri, sulla propria quotidianeità. Sulla semplicità delle proprie case. E poi, davvero, cosa c'è di meglio di un caffè che ci prepariamo da soli? Con le nostre proprie mani. Niente. La soddisfazione, la fatica, il metodo nel mettere l'acqua giusta e nella giusta quantità, nella quantità esatta di caffè da mettere perchè non ce ne sia poco o perchè non sia troppo compresso.
E poi se esce male, come diceva De Filippo, "(...) siccome l'ho fatto con le mie mani, non me la posso prendere con nessuno. Mi convinco che è buono lo stesso e me lo bevo".
Comunque, come vi dissi, esistono anche le varie culture del caffè. Sapete, le culture del caffè sono metodologie che diverse persone adoperano perché il caffè esca più di proprio gusto: c'è chi mette meno acqua, chi meno caffè, chi la mette già calda e aspetta che in breve bolla, chi la mette fredda per una questione di principio, chi del rubinetto e chi la preferisce della bottiglia, caffè di una marca piuttosto che di un'altra, più o meno compresso, a moka o a caffettiera napoletana. Insomma, le varianti, le culture del caffè sono molte e variano anche in base al territorio ed alla propria cultura d'origine. Ad esempio: un abitante del nord (uno di quelli dell'inesistente Padania), per cultura, cosa ne può sapere di che cosa sia il piacere del caffè con tutti questi piccoli accorgimenti? Probabilmente ne saprà meno di noi "terroni" (ricordatevi che è per grazia divina che siamo "terroni"). Esiste, tuttavia, un'altra specie di individui: quelli che il caffè non sanno cosa sia. Questa specie, purtroppo, esiste anche al sud. Entrano in un bar e chiedono:
"Mi scusi, vorrei un caffè macchiato" oppure "Vorrei un caffè lungo" o ancora "Mi faccia un caffè corretto". Ecco, noi amanti del caffè puro siamo chiamati all'evangelizzazione ed alla conversione. Purtroppo costoro non comprendono appieno le gioie intense di un caffè, non comprendono che il caffè puro è un modo di onorare l'ospite e la propria casa e se stessi.
E tanto vale anche in un bar.
A proposito, sotto vi lascio il video di De Filippo da "Questi Fantasmi" l'inizio dell'atto II scena I e vi renderete conto di quanta saggezza si può apprendere e di quanta ne abbia appresa io.
Il caffè signori miei, il caffè: vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo?

Vostro, Claudio

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