Cronache da Ogigia


Alla consorte di Odisseo, Re di Itaca

Cara Penelope,

aggiungo questa alle molte missive che, per Ermes, vorrei farti giungere.
Ogigia non è davvero un’isola grandissima, al contrario, e pur tuttavia la compagnia sembra non mancare mai ma sono così solo. Così tremendamente solo.
Ogni giorno, ninfe immortali mi circondano e mi riveriscono e Calipso, ammaliatrice e tentatrice, idea e corpo, mi cinge con le sue voluttuose e possessive braccia, tenendomi prigioniero di questa triste illusione. Con dolore, bella donna, devo io dirti di non poterle resistere: ella esercita su di me una potente influenza ed ogni scelta mi è impossibile. Mi è impossibile scegliere di cosa cibarmi, se rifiutare le profusioni e le attenzioni delle ninfe, i loro servigi sempre così tremendamente puntuali, mi è impossibile scegliere se sottrarmi ai suoi amplessi e, sebbene Ella mi chiami “padrone”, sono invero prigioniero dell’isola e non posso scegliere se partire o meno.
Prego gli dei, ogni giorno, di mandarmi quattro assi sulla riva che io possa così, su di una zattera improvvisata, tentare il mare per tornare alla mia bella terra e, prima ancora, per tornare a te, che sei l’unica vera ragione che mi fa desioso di riveder le mie petrose rive.
Ma Poseidone, che domina i flutti, mai si prodigherà per darmi un aiuto giacché assai, i miei compagni ed io, l’abbiamo ingiuriato.
Nei lunghi anni di guerra, Domina, sempre ho tenuto a mente gli occhi giocondi e
‘l braccio forte di nostro figlio e quelle tue calorose e amorevoli che, con tanto dolore prima e tanto rimpianto poi, m’hanno lasciato libero di partire per quella infausta guerra.
Eppure, talvolta, mi chiedo quale vanità e quale desiderio inopportuno mi spingano a desiderare la mia terra più per il calore del letto di mia moglie che per i miei doveri da re, verso la mia gente e verso mio padre.
Mi domando, allora, se questo non sia sbagliato e se questa mia prigionia non sia la giusta punizione per questo pensiero ma, più ancora e semmai tornerò, se il mio ritorno con questi presupposti sia giusto.
Donna, non ti nego, quindi, di sentire assai più la tua mancanza che quella della mia terra che rimane, comunque, meta agognata e desiderata.
È dunque giusto tornare? Io non so.
Queste poche righe, tracciate nascostamente su di una pergamena che mai su questa isola vedrà la luce, resteranno serbate e nascoste a Calipso. Mi staranno sul cuore.
Bacia Telemaco sull’alta e arguta fronte del giovane che è ormai diventato e non permettere che si metta per mare. Se è vero che posseggo molti amici, vero pure che i flutti mi sono avversi.
A te, mia sposa… (omissis: mi sono preso la briga, letta la missiva di Ulisse, di censurare queste poche righe. Più che per pudore, per la loro profonda intimità e per i modi così amabili, ma certamente privati, con i quali il nostro prigioniero si rivolge alla sua regina)…
Accarezza, se ancora vive, il più fedele fra i miei sudditi e l’unico che, con me, meriterebbe il giusto titolo di re: Argo. Porgi i miei omaggi alla vecchia nutrice e saluta mio padre, possa Egli vedere il giorno in cui il suo figlio tornerà glorioso e vincitore sui flutti.
Saluta la mia terra.


Odisseo

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