Sopra Giuseppe Cegnini, sacerdote


Il busto sporto in avanti, appoggiato sui gomiti, le mani giunte alla maniera d'una prece e tutti osservi coi tuoi grandi occhi, che catturano tanta più luce quanto è la Grazia che rimirano in ciascuna delle persone che hai davanti: così siedi, scomposto, mentre noi parliamo.
Inequivocabile modo in cui, lo sappiamo, tu pensi ed ascolti.
E se il pensiero è un poco più profondo, se necessita che tu lo guardi un attimo dall'alto per ficcartici dentro più profondamente, allora ti rimetti composto sulla sedia incrociando le braccia ed i piedi, che si nascondono sotto la sedia (che flette le sue fragili gambe accogliendo la tua stazza), e con i denti cominci ad accarezzare il pizzetto, sovrappensiero. Poi, si crea un attimo di silenzio e tu parli, con quella tua voce profonda ed un poco roca, nella quale noi ravvisiamo la bonarietà d'un padre saggio sempre pronto ad ascoltare e correggere. Mai potrò dimenticare, nella mia vita spero lunga, il modo ed il tono con cui chiami il mio nome ed altrettanto, suppongo, potranno dire gli altri. Perché quando un uomo ti chiama come tu chiami noi, non puoi non sentirti immediatamente amato. Anche la correzione o la durezza di qualche asserzione diventano miele dorato stillante.

In un amore che è anche corporeità e fisicità, oltre che sentimento, tu suoli abbracciare tutti, stretti. Il primo contatto è generalmente con la tua morbida e grande pancia, che addolcisce ancora di più la tua figura e quasi la inserisce nel mito, poi le tue grande spalle si abbassano e cingi forte e stretto, con quelle mani fatte per abbracciare e spezzare: spezzare per moltiplicare.
Poi sussurri qualcosa nell'orecchio, qualcosa di saggio ed appropriato di solito, altrimenti un poco ovvio "Ti voglio bene, ricordatelo".
Il tuo ufficio è semplice, spartano: una porta bassa e bianca introduce in una stanza bianca anch'essa e quasi sempre nella penombra, con una piccola finestrella proprio davanti alla porta e frammezzo un inginocchiatoio senza cuscino poggiato alla parete, ai piedi d'una croce semplice e storta che sempre trovo fastidiosa per questa mancanza di simmetria ma di cui mai intendo chiedertene ragione. Il legno scuro di cui sono fatte, la semplicità che mi trasmettono, parlano di un ambiente intriso di preghiera, di un ambiente che colpisce l'animo, finanche del visitatore ateo, e lo intride d'una forza mistica che presta il fianco al dolce assalto dello Spirito. Una scrivania, tre sedie, ed una libreria: questo è tutto l'arredo profano di cui consta.
Tu siedi rivolto verso la porta, con la schiena alla finestra, e nella mia mente ti sento parlare mentre mi consigli e mi supporti ed io mi sforzo adesso di ricordare ogni singola parola, ogni sillaba anche incerta per far vivere ancora uno stralcio di terra al tuo ricordo che già si getta nell'immensa luce dei beati. Hai un'icona alle spalle, sulla scrivania sempre qualche libro di troppo che vuoi leggere ma per cui non riesci a trovare il tempo, una preghiera di Atenagora alla parete e quella della Serenità sempre a portata di mano.
Tutto è sfocato, in quest'immagine che fisso per fissare te, e nuova luce si irradia dalla tua figura. 

A tavola sei la disperazione di Luisa, che con solerzia si adopera per farti mangiare perché tu, beh, hai i tuoi gusti e non sempre mangi tutto mentre io con molti complimenti la lodo e mi prendo anche il tuo piatto: Luisa, con quell'aria benevola, se ne lamenta con me ma, sotto sotto, sorride ad uno dei pochi vizi che Iddio ha dato ad un uomo sì morigerato. Poi apri la finestra, la zanzariera, per quello che per abitudine è stato il tuo posto a tavola sin negli ultimi giorni, e cominci a fumare. Chiacchieriamo, tu affacciato, dei topi, del giardino, del più e del meno.
Don Giuseppe Cegnini, è l'immagine del sacerdozio autentico, della vita spesa al servizio di Dio.
Di una vita conformata a Cristo, aderente alla Sua Parola, vissuta nel Suo Amore. Compreso il dono d'amore che Iddio gli aveva fatto nell'esistere prima e nel chiamarlo a Sè dopo, Gli ha consacrato l'intera vita spendendosi senza remore nel servizio ai fratelli. Il Don è una di quelle pecore per cui il Signore ha volentieri lasciato l'ovile e, convertito il suo cuore, è diventato pastore che instancabilmente ha fatto della ricerca delle pecore smarrite motivo di vita.
Il nostro grande Padre si è addormentato in Cristo. A-rivederci Don, sine die


Ti voglio bene.

Claudio

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