All stories come to an end




Tutte le storie finiscono cicci cari. In fondo, se termina un’opera come la Commedia o certi bei romanzi che ti fracassano l’amigdala fino a produrre tanta di quella acetilcolina che il corpo sente l’esigenza di espellere qualcosa, proprio non capisco perché non dovrebbe terminare una storia d’amore. Belle o brutte che siano, le storie hanno termine. Sempre. Solo che nella maggior parte dei casi non è certamente la morte, come tanto si spererebbe in quelle fasi iniziali piene di ormoni e buoni sentimenti, a trarcene via; no assolutamente. La maggior parte delle volte, uno dei due, oppure ambedue, decidono che si son rotti l’anima di farsi ancora del male e decidono così di separarsi. A questo punto, sussistono generalmente tre casi:

1)      Tutti e due si amano alla follia ma non possono fare a meno di dirsene di tutti i colori, farsi male fin nelle ossa e maciullarsi le carni stando insieme.
Ah! I miei amori preferiti! Perché? Perché in fin dei conti sono proprio quelli che non sarebbero mai dovuti neppure iniziare. Sono quegli amori vissuti in maniera distruttiva ma passionale. Travolgente, intrigante. Per tutto il tempo in cui si sta insieme, almeno all’inizio, non si vorrebbe essere altrove. Salvo poi quasi augurarsi che all’altro prenda un colpo per non doverlo rivedere neppure il mattino dopo a colazione. Sono storie magnifiche, intendiamoci, ma nate morte. Praticamente senza futuro. A tal riguardo esistono però due correnti di pensiero: la prima ritiene che valga comunque la pena viverle fino in fondo per tutto l’affetto e l’amore che queste portano e perché, comunque vadano, cambiano le persone che vi sono dentro alterandone la struttura del DNA emotivo. Una visione utilitaristica, a mio modesto avviso. La seconda, altresì, stima la storia stessa come morta fin dal principio e perciò, proprio perché insostenibile a lungo termine, indegna di essere vissuta.
Insomma, leggete, riconoscetevi, schieratevi. Per parte mia, giacché le semplificazioni proprio non mi piacciono, ho sempre sostenuto un approccio intrigante fra le due, tutto dedito al tempo dedicabile a questo tipo di storia particolare: semplicemente, finché si è giovani ne vale la pena. La cosa interessante è che il tempo fissato è proprio il mio stesso: 26 anni, tale è il tempo massimo per concedersi ad una storia di questo tipo. Poi, è proprio l’ora di tagliare i ponti ed andare avanti anche perché, ragazzi miei, quello non è amore ma qualcosa che, per quanto ci vada vicino, è come una buonissima imitazione di un profumo di marca: la fragranza sarà pur ottima all’inizio ma è destinata a non reggere la prova del tempo. Vorreste davvero passare il resto della vostra vita con qualcuno che vi fa dannare l’anima? Oppure, ancora, vorreste forse tirarla per le lunghe per poi accorgervi a 35 anni di aver regalato a qualcuno che non lo meritava i vostri anni migliori?! E allora via ai rimpianti ed ai piagnistei sul tempo perso e le occasioni sprecate, i figli mai nati, etc… etc… etc… Datemi retta, 26 anni è il massimo: in questo modo concedete a voi stessi la possibilità di conoscere qualcun altro, innamorarvi e tutte quelle cose che fanno le persone sane di mente che si sposano entro i trenta.

2)      Come sopra, ma da parte soltanto di uno dei due. Visto che ho già sviscerato il primo caso, qui taglierò un pochino più corto. È simile, molto simile al primo, soltanto che non è vicendevole la cosa e pertanto, a meno che non si trasformi in una sorta di stalkeraggio proattivo verso quella povera anima che da amata diviene dannata (proprio perché perseguitata), è anche una cosa carina. Oh, intendiamoci: carina per quei poveri malati come me che ritengono che un tale stato di disgrazia valga la pena essere vissuto fin nell’anima e fin quando si può soltanto perché aiuta a rendere se stessi un poco più creativi ed ispirati (voglio dire, secondo voi è un caso questo post?). Ad ogni modo, non è neppure così male se dopo un certo periodo di tempo si decide di cominciare a guardare avanti in maniera seria e costruttiva per la propria vita: sì, so quello che state pensando e che vi state chiedendo ma non ho alcuna intenzione di rispondervi. Tenetele per voi le vostre domande, il blog è abbastanza chiaro: “le uniche verbosità qui ben accette sono le mie”. Ma la cosa davvero interessante di questo secondo punto è che possiede almeno due varianti. Lo so, comincia a sembrare un manuale di scacchi invece che un post ma cercate di seguirmi ugualmente, ve ne prego. La prima variante, che qui denomineremo del “cuore affranto”, è quella in cui almeno all’inizio tutti e due provavano quel sentimento autodistruttivo ma, a storia conclusa, uno dei due si rimette in carreggiata parecchio prima dell’altro, nell’arco cioè di un numero di mesi che è la metà del numero di anni in cui si è stati insieme. Chiaro, no? Si sta insieme tre anni e quella/o dopo nemmeno un mese e mezzo ne è già bell’e fuori.
Ok, forse non sarà già sulla piazza, ma volete mettere il dolore di sapere che il/la vostro/a ex vi è passato avanti con una velocità tale da far sembrare persino più lenta una navetta spaziale che attraversi un ponte di Einstein-Rosen per andare dalla vostra camera da letto al salotto? Ecco, lasciamo perdere. Anche perché l’argomento camera da letto oggi non lo affronteremo ma capisco bene quanto possa risultare devastante o semplicemente estremamente solitario per qualcuno di voi: basta annusare il cuscino, su.
La seconda variante, quella del “cuore lavori in corso”, è forse la peggiore: comincia con la classica separazione iniziale in cui però tutti e due, almeno per un po’ (un po’ che sembra infinito) provano ancora quel sentimento autodistruttivo, attraendosi e respingendosi pur essendosi lasciati in maniera definitiva. Sono i casi in cui assai più volentieri si cede alla lussuria inebriati dai fumi dell’alcool o del fumo o dai fumi della foia (i migliori per cui cedere, datemi retta). Fino a quando, esattamente come sopra, inavvertitamente (ma solo per sé) l’altro/a inizia a cambiare e lo si vede mutare e riprendersi in mano la propria vita. Forse non con la medesima velocità del caso precedente ma sicuramente ad una velocità che chi rimane nella precedente condizione davvero non si auspicava. Fino al momento terribile in cui, per riconoscere se stesso, l’altro/a non ha più bisogno di noi ed è in grado non solo di passare avanti ma anche di passare ad altro. Guys, prima di rovinarvi la vita, lasciate perdere. Non c’è donna o uomo per cui valga la pena struggersi anni interi, datemi retta: ne so qualcosa. Tutte le storie finiscono e, ad ogni modo, quello non era amore. So che lo sto ripetendo fino alla nausea ma prometto di spiegarmi, in qualche riga prima o dopo.

3)      Il terzo caso è decisamente il migliore per cui separarsi ed anche l’unico che, giustamente, non ho ancora sperimentato. Nessuno dei due ha più voglia di svegliarsi la mattina e vedere come prima cosa un brutto muso guardandosi allo specchio. No, non mi riferisco alla tristezza che si prova e che si manifesta sul volto, per una relazione che chiaramente non può durare; mi riferisco altresì al brutto muso dell’altro che da dietro ci guarda di sottecchi mentre ci specchiamo: ecco, quella è la faccia che davvero non si può e vuole più rivedere la mattina. Anche perché, diciamoci la verità, l’unica cosa che procura una vista del genere al mattino è un’evacuazione particolarmente rapida. Ma la sua intera utilità si ferma a questo. Anche qui, sussistono tre varianti che però sembrano avere i nomi di qualche virus o di qualche malattia esantematica particolarmente grave o complessa.
La prima è la MSSC Sparisci, che non è il nome di una crociera, sia chiaro, ma Mi Stai Sul Ca**o, Sparisci! È quel semplice odio spontaneo ed innocente che, se non dovesse giungere presto a separazione, porterebbe entrambi ad una presa d’atto dello stato di guerra. Sono quelle relazioni che somigliano inizialmente ed una crociera da favola, per l’appunto, salvo poi trasformarsi in un naufragio alla Titanic dove tutti e due vogliono salire su quella benedetta porta che avrebbe potuto ospitare entrambi ma che, in fin dei conti, nessuno dei due vuole che l’altro abbia. Come finisce generalmente? Né Jack né Rose salgono sulla porta e tutti e due crepano dal freddo: vorrei ben vedere, il gioco al massacro in quel caso lo si fa più per orgoglio che per vera necessità.
La seconda variante è quella chiamata anche E.I.M.C.B² ossia Era Il Mio Cuore Brutto Bastardo che, nella sua versione al maschile diventa E.I.M.C.B.S. ossia Era Il Mio Cuore Bella Stronza (un omaggio a Masini). È la variante questa nella quale soltanto uno dei due soffre perché l’altro, anche se non ufficialmente, era già fuori dalla relazione da tempo; i motivi sono i più disparati: è finito l’amore, tradimenti varij, non ci s’ha più il capo, non si vuole una relazione seria/fissa/impegnata. Insomma, è finita e va bene così. È solo l’altro che soffre, per un po’. Tra l’altro, siamo seri (ma quanto siamo seri stasera, eh?), in caso di spudorato meretricio dell’altro/a è anche più semplice andare avanti, benché si soffra maggiormente e sempre eccettuato il caso in cui chi ancora era dentro a quella relazione non si ficchi poi nel tunnel (in questo caso assai triste) del secondo caso e delle sue varianti (tornatevi a rileggere per bene il secondo punto se non avete compreso).
La terza variante, è la migliore di tutte: i due non si amano, se ne rendono conto, si lasciano e rimangono amici come prima (beh, forse non proprio come prima perché una storia cambia chi la vive ma comunque si rimane amici, no?). Questa terza variante so esserla sussurrata e tramandata quasi fosse uno dei segreti di Fatima. Ne parlano i poeti e le persone piene di senno ma pare che neppure loro l’abbiano mai esperita. Insomma, a tutt’oggi rimane soltanto una leggenda priva di vero fondamento scientifico.

Sapete perché nessuna delle relazioni sopra è mai stato vero amore? Non solo perché il vero amore ha come termine ultimo il compimento naturale di questo vita (o anche più oltre, non dico il contrario) ma anche perché tutte queste relazioni sono passionali senza mai essere appassionate. Sono intense senza mai essere profonde. Sono realistiche, senza mai essere vere. Ho scritto tanto e tanto a lungo in passato al riguardo, lo sapete bene. Perciò forse con una punta di egoismo ma certamente con tanta stanchezza addosso, vi rimando a quei post.

Adesso, però, vorrete sicuramente sapere il perché di questa gran menata dopo tutti questi mesi di silenzio (e per silenzio intendo post assai più brevi): non lo so. La verità è che un’energia che mi consuma mi sta tutta nelle ossa. Non so di dove venga, forse dal cuore o forse è questa stessa energia a svuotarlo e ridurlo nuovamente in polvere. So che sono ancora qui, quattro anni dopo, a scrivere di un cuore ancora a pezzi, ancora frammentato, ancora polverizzato, diviso.
Perciò, sapete cosa farò quest’oggi? Scriverò per vivere e vivrò in ogni mia parola per far sì che la mia sola corda ritrovi la sua cassa di risonanza.

A presto!

Vostro, Claudio



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