Pellicole


Sapete, cari quattro lettori, a cosa è davvero assimilabile il nostro cuore? No, niente giochini o immagini strane quest'oggi. Per rispondere a questa domanda non dovrete far altro che guardare nelle vostre tasche, sulla vostra scrivania o nella mano con cui state leggendo questo post.
Ebbene sì, il cuore è davvero molto molto simile allo stramaledetto apparecchio intelligente che vi ritrovate per le mani quasi ogni giorno. Non all'apparecchio intero però, neppure ad una delle sue molte funzioni, no; ad una singola applicazione, bensì. Se davvero vogliamo saper leggere il nostro cuore, o quantomeno le sue condizioni attuali, dobbiamo allora rivolgerci proprio all'app Galleria del nostro smartphone. Vi invito adesso ad aprirla insieme a me, a scorrerla senza passare attraverso complicate funzioni o filtri e neppure nelle articolate visualizzazioni per album, luogo o persone incluse nelle foto. Vi invito, invece, a scorrere gli scatti in ordine cronologico, andando a ritroso nel tempo e portando il vostro dito giù, fin quando la linea temporale non si esaurirà. Vi invito a contare ora: contare gli scatti, il loro numero e, sì, ora anche i soggetti. Ascoltate le intenzioni che la vostra memoria vi rievoca davanti ad ogni singola chiusura (molto metaforica, in questo contesto) dell'otturatore, osservate ciò che avete ritratto e ne avrete pure uno, assai fedele, del vostro cuore in questo momento: un'istantanea talmente profonda da meravigliare un cardiologo. Il maggior numero di foto fatte, vi diranno cosa o chi amate, su chi rivolgete più spesso l'occhio del vostro cuore (l'obiettivo), perché tutti vogliamo ricordare solo ciò che amiamo. Tranne poi, volere aver ricordato solo ciò che non avevamo amato abbastanza. Sono uno di quelli che nella propria Galleria ha poche foto di persone, pochissime, e assai più invece di dipinti, affreschi ed opere d'arte e nessuna di queste cose mi dà la gioia che mi viene, altresì, da quelle poche, fin troppo poche, foto di persone. Di persona.
Davvero è questa l'epoca dell'impressione, sebbene la pellicola sia stata abolita. Davvero è questa l'epoca in cui imprimiamo con maggior ardore ma con minore oculatezza i ricordi nei nostri cuori e le nostre gallerie testimoniano tutte le nostre povertà: selfie fin troppo autoreferenti, scatti in cui vogliamo a tutti i costi comprenderci perché altrimenti non avrebbe alcun senso possederli se non posseggono una qualche dote intrinseca (ironia, stoltezza, simpatia, carineria, bellezza estetica). Senza mai, o quasi, puntare l'obiettivo su tutto ciò che diamo per scontato, per ovvio, per presente. Su chi, diamo per scontato, per ovvio, per presente. Verrebbe da chiedersi se non si ama abbastanza oppure se, in una estrema lotta evolutiva col nostro cervello, non cerchiamo di autotutelarci (da precari nell'equilibrio della vita, quali siamo) per rimuovere poi più facilmente ciò che temiamo di perdere: sarebbe geniale, se non fosse invece un buon modo per principiare davvero a perdere cose e persone e smarrirsi in un'ombra di quelli che dovrebbero essere i propri affetti.
Vedete, la fotografia gioca con la luce che entra nell'obiettivo e impressiona la pellicola.
Ma se il nostro cuore è come una di queste gallerie, di queste pellicole impressionabili, dobbiamo allora fare attenzione a quale luce lasciamo entrare ed a cosa decidiamo di imprimere perché la pellicola è poca e troppo preziosa e potremmo, qualche tempo dopo, aver la voglia di tornare ad uno di quei momenti e dirci, ancora una volta: "E se...?"


Vostro, Claudio


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