Lontano dagli occhi

A Monica...

In un silenzio del cuore, una indifferenza parente prossima di quel "il tempo cura ogni ferita", si è consumato l'ultimo nostro atto. Non più deliri, non più fantasie, non più vacue gioie o inenarrabili speranze. Era un giorno che non pensavo (o speravo, chissà) sarebbe mai giunto; perlomeno, non lo aspettavo così presto: i miei molti tumulti interiori mi avevano abituato ad averti ancora vicina, sebbene in modi assai strani ed inconsueti. Non già per la sola semplicità delle odierne relazioni e degli amoreggiamenti contemporanei ma per i miei stessi canoni pure.
E se è vero, come è vero, che parlando di canoni parlo di ciò che è verità; allora, è alla mia paradigmatica canonicità che sei diventata estranea.
Tentando un insolito quanto masochistico esercizio di memoria, qualche giorno fa appena, davanti ad un tramonto ragionavo della mia invincibile solitudine e di quel vuoto al mio fianco che è solo, spero, l'attesa del movimento che lo realizzerà. Intanto, è solo vuoto e nel vuoto, in cui oscilla fra la noia e la merda di cane quel grande pendolo che è diventata la mia vita, c'era un'assenza.
Di chi, non so ancora. Sebbene sapessi solamente che richiedeva altri due vetri quel tramonto, altri due occhi, una nuova cornice: la mente è corsa allora al tuo viso, perso nella sua vaghezza, ed a quelli che ti hanno preceduta.
"E so perché/ non so più immaginare il sorriso/ che c'è negli occhi tuoi/ quando non sei/ con me"
Non ti so più immaginare: non vedo più i tuoi occhi guardarmi luminosi, li ho dimenticati; non ricordo più il tuo sorriso o la tua risata modesta e femminina, nè la forma delle tue labbra o la consistenza dei tuoi baci; si offuscano quei lunghi capelli intessuti di ogni ragione per amarti.
Sempre mi son pregiato della mia infallibile memoria che incastonava imperituramente ogni dettaglio delle mie relazioni (delle mie donne, se me lo si concede): volti, eventi, numeri di telefono.
E se serbo gli eventi con gelosissima custodia è per non dimenticare a chi devo ciò che sono: dimenticarti, non spegne la mia gratitudine per il tempo in cui hai permesso che io ti significassi come l'Amore e dicessi di te più della carne che innerva le tue ossa.
Solo, che non ricordo più il tuo volto, il tuo corpo, il tuo numero. Non ricordo più il tuo numero...
...sai cosa vuol dire, una volta te lo dissi: "Vado avanti, ma non dimentico mai alcunché".
Farlo, non mi dà gioia alcuna ma è la strada che la mia corda ostinata ha trovato per tornare a vibrare nuovamente: perché non sei stata il mio primo amore ma sei quello che necessito dimenticare per andare avanti e, sappilo, non l'ho mai detto prima né, ne ho la convinzione, lo dirò più.
Sono pronto...
Ora, sei quel tepore del petto, quella fame che mi ricorda, colpevolmente, che amare è un esercizio che avrei dovuto riprendere da più di qualche tempo. Ma è anche l'unico per il quale non si è mai davvero fuori forma.
Spero di saperti felice

Tuo, Chandler



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