Nell'imminenza dei trent'anni


C'è un retrogusto amaro che segna inevitabilmente questo mio tempo e con larghe campiture offusca gli orizzonti di senso, velandoli di una patina di profondo scoramento: è questa l'età dei Cristi schiodati dalle croci, delle Maddalene senza clienti e senza pentimenti, dei troppi Giuseppe legati dal dovere dell'onore, dei gigli macchiati ed i caprifogli che intrecciano i cannoni.
Contiamo i fichi sterili come si contassero le spighe mature della messe di Luglio.
Come se la vita ci interrogasse di tutte quelle guerre di cui abbiamo memoria e ci sfidasse a capire che e quanta parte ne abbiamo avuta: a ricordare che l'innocenza finisce con la prima violenza che si fa memoria e nemmeno il Dio che imploriamo ce ne scampa, perché anziché guardare in alto riecheggiamo in uno specchio le nostre idiosincrasie. Solo che uno specchio senza fondo è solo una finestra, aldilà della quale sta la nostra comune natura che feriamo senza pudore: con quanta fragilità l'uomo si rivolta contro ciò che di sè vede nell'altro!
Ci sono stati giorni nei quali avrei raccontato di donne, di sogni e fiori gialli: avrei raccontata la bellezza di un amore. Oggi, non potrei che raccontare del desiderio di quell'amore e come mi senta stupido davanti al desiderio sì, ma di pace, del mondo intero. Com'è grande, nel petto, la distanza -che la polvere di artiglieria che si posa, prima nasconde e poi copre- com'è grande, questa distanza fra il dolore del mondo ed il mio: il rammarico, sì, non di non soffrirne ma di non parteciparne abbastanza. A me che del Sacro e Patrio suolo ho fatto una bandiera, a me che della Santa Unità della Nazione ho fatto un manifesto, come pare stupida e balorda questa lotta di Caini e Abeli che si continua dacché Iddio ne ha memoria e noi capacità di disporre della vita altrui: "Sono forse io il custode di mio fratello?". Paraculo e, per ciò, maledetto da Dio stesso.
Chi vorrà benedirci ancora quando alzeremo la mano contro il nostro fratello?
Se neppure Dio più, chi? Cercheremo ancora uno specchio, ed in quello scrutarsi vedremo solo altre ragioni per sublimare l'odio per noi stessi in una violenza mortifera.
L'uomo che uccide, uccide in sè la matrice del suo esistere e tenta con forza maggiore di cancellarla: ci è dato di privarci del Creatore?
Me lo chiedo ogni giorno in cui non riesco a pregare o credo di essere troppo impegnato per farlo, me lo chiedo quando la vita appare insolitamente benevola o inspiegabilmente accanita nella sua opera di distruzione: è davvero senza causa o fine questo mondo?
Posso davvero vivere guardando a me stesso come istanza prima ed ultima di questa esistenza?
Se anche potessi, non vorrei. Non voglio. Perché della vita e dell'amore, della voce del sangue, io sono responsabile.
A trent'anni, o quasi, ci si attende che della vita si siano comprese le dinamiche fondamentali che solitamente risiedono in quella complessa stratificazione di rapporti inclusi nello spazio extrapersonale che vanno sotto il nome di "relazioni": averne molte, sembra significare una comprensione non più elementare ma piena di queste dinamiche e di come si possano accrescere e ritenere negli anni. Ho dedicato l'interezza del mio vissuto a conoscere chi fosse quella persona che ne avrebbe dovute conoscere altre per dimostrare di aver imparata la lezione e non sono a miglior punto di quando ho cominciato: alla vigilia, alla soglia, dell'ultimo numero a cui presto un significato tutto personale, ho capito solo di sapere meno di quanto vorrei e di sapere, sebbene con un grado di certezza appena poco maggiore del primo, cosa non sarei o vorrei (essere).
Sono un uomo che conosce i propri errori, guarda questi anni "d’ansia, d’uggia, d’ilarità improvvise, rapide com’è rapida a marzo la ventata che sparge luce e pioggia" con malcelata nostalgia ma professando un distacco asettico che non gli è proprio: che dice questo di me? Ragionare della guerra, che dice del mio coraggio? Come parla tutto ciò a chi si scherma trattando realtà e persone comme choses?
Ma se chi incarna la mia stessa natura condivide le gioie e le speranze, gli amori e gli affanni, il pane ed i compleanni, so che ogni parte di me è nel lutto e nella ricerca e nella fiduciosa preghiera davanti al reale che, semplicemente, esiste. Ed io, nel mondo, ho fratelli.

Claudio



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