Lettera dal Mare

 

Alla nuova donna che verrà


Mio dolce amore,

avrei voluto averti qui, con me, sulle sponde del Mare di Galilea a contemplare quella santità semplice che sembra spiegare ogni cosa e come tutta la ruota perfetta del mondo trovi in Lui la sua “raison d'être”.

Avrei voluto averti qui, e tanto mi sarebbe bastato, e tutta la mia vita avrebbe probabilmente raggiunta la sua più perfetta compiutezza: ti ho straveduta, ancora, fra le onde mentre un gabbiano solitario vi planava e, poco distante dalla riva, da quelle si faceva cullare.

Avrei voluto averti lì, perché è stato quanto di più santo la vita mi abbia permesso di esperire: ma tu sei quella sperevole assenza che rende vivo questo mio desiderio.

Davanti a quel Mare, amica mia, potrei tradurre i nostri giuramenti in una santa promessa: la promessa che, quando ci chiameremo con quell'amorevolezza che, unica, si vuol sentire una sola volta, comincerebbe per noi quella semplice vita nuova fatta non di sterili rime ma di ogni gioia faconda.

Sogno ancora occhi che guardino non me ma nel mio stesso verso, capelli arricciati in conversazioni civettuole, un'iride che si colora tanto più intensamente quanto è l'oggetto del suo amore, una risata piena e modesta: sei ogni mio sonno che parla di futuro ed ogni preoccupante incubo senza volto.

Perché non mi è concesso il dono della profezia?

Perché non mi è permesso scorgerti di là dal velo che scinde la realtà ed illumina con chiarezza quanta parte di vita mi sarebbe necessaria per pregustare la nostra concreta letizia?

Ho già dedicate parole simili ad almeno una tua versione ed altre ancora ne ho scritte senza sperare resa alcuna da questi avversi fatî a cui faccio l'improba battaglia di un cuore innamorato.

Dove sei?

Ho cercata la vigna e gli agrumeti nel deserto perché ti avevo vista danzare con l'abito della festa ed i miei compagni gareggiare per scorgerti: ho atteso che arrivasse l'ora della scelta ma, appena voltato, non ti ho più scorta.

Un sapore di vino dolce però mi arrotonda il palato, ottunde i sensi, racconta del profumo di una vendemmia tardiva ma fortunata e del passo venuto a quella spremitura. È il vino a farmi scrivere, il vino ad amplificare il mio desiderio.

Ho interrogato il deserto e questi mi ha risposto che il tuo passo era più felpato della volpe nella sua tana e più tenue dell'alito che lo riempì di vita.

Sei diventata la donna del deserto: perché tutta sei avvinta ad un manto che ti scherma da queste mie irriguardevoli attenzioni: sento solo la tua risata che conosce tutta la mia stoltezza.

E non mi importa, perché prendo tutto quanto potrei attendermi.

Ho lasciata l'anima a vagare su quella riva, se tu dovessi trovarla ti prego, cuore mio: riportala a me.


Tuo, con affetto incommensurabile, Claudio

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