Mio nonno

 

Quando è morto mio nonno, speravo di trovare le parole giuste per esprimere il mio dolore.
Speravo che quelle belle parole che mi vantavo di saper sciorinare al momento giusto, mi salissero spontaneamente e mi suggerissero cosa dire davanti ad un così profondo rammarico.
Quando morì il mio padre spirituale, mi chiusi in camera mia affranto, per almeno due ore, e tirai giù un elogio che cercava di ritrarmelo alla mente in un modo che fosse quanto più vivo possibile. Me ne resi conto quando, firmando l'ennesimo post su questo pagine, Mattia venne a cercarmi in camera, preoccupato dal fatto che fossi sparito da un momento all'altro e per le precedenti due ore l'avessi piantato a giocare a Burraco con mia nonna e mia zia nella luminosa penombra estiva del nostro balcone. Io, che d'umore ero più nero del buio in cui stavo scrivendo, con la tapparella tanto calata da lamentarmi di quei pochi spiragli di luce che vi entravano, esternavo il mio cordoglio buttando giù velocemente quelle righe, come se temessi di dimenticare quello che quegli anni erano stati.
Quando morì mio nonno, sentii la stessa urgenza, senza però sapere esattamente come fare mentre le parole mi morivano nel cuore. Potrei dire che una parte di me non aveva alcunché da dire davanti a quel mistero della morte che mi appariva chiarissimo: come in una splendida rivelazione, nel morirmi innanzi mi aveva mostrato il mistero della resurrezione dei corpi, la verità della vita eterna e la tangibilità della comunione dei santi.
Non penso di aver avuta mai tanta fede quanta in quel momento: una cosa buffa se penso che mio nonno, in vita, era stato quel che Manzoni avrebbe chiamato ‘un buon bestemmiatore’. Era capace di tirar giù più santi lui quando era alterato di quanti ne contenesse il calendario di Frate Indovino. Confido che i rosari e le messe gregoriane di mia nonna, abbiano più che supplito ad uno dei pochi difetti di un uomo tanto straordinario.
Della sua vita, ho sempre sapute le cose essenziali: che aveva studiato fino alla quinta, che la famiglia era numerosa, le bocche da  sfamare tante ed era stato mandato da dei parenti ad imparare il mestiere.
Finita la quinta classe, ad undici anni.
Oppure quando mi raccontò di quando aveva fregato alcuni parenti che non volevano partisse per il militare... o di quando, di notte, andava a prendere il bestiame in Emilia-Romagna e via discorrendo.
Della sua vita, prima della nostra famiglia, non ho che qualche aneddoto raccontato talvolta con una certa fierezza (perlopiù quelli della sua gioventù sportiva, all'insegna del pallone: che uomo fuori del suo tempo, ché amava più i giocatori che le squadre, il calcio più del campionato) e talaltra con la leggerezza propria di chi ha vissuto alcuni fra gli anni più duri e più splendidi della nostra storia, attraversandoli con la risolutezza di chi affrontava la vita ma senza la consapevolezza della gravità del momento che affrontava.
Mi chiedo spesso, ripensando a quanta vita ha attraversato, se si sia mai reso conto della straordinarietà di quello che ha compiuto, di ciò che ha costruito per noi, del ricordo che ha lasciato. Così, oggi, mentre cercavo delle vecchie foto (perlopiù dei miei zii) della metà degli anni ’80 che potessero ispirarmi per ricostruire filologicamente come andavano vestiti i giovani di quel periodo, nella speranza di poter indossare un outfit dalle vibe ’80s per l'anniversario della proiezione di Ritorno al Futuro; mi sono ritrovato in mano un ventaglio di vecchie foto di famiglia, con volti più o meno conosciuti. Alcuni emergenti da momenti della storia familiare luminosissima, altri più o meno dolorosi, ma tutti vissuti con la pienezza propria di chi non può far altro che affrontare a viso aperto quanto gli si pari davanti. Quante foto di mio nonno fra queste!
Alcune non le avevo mai viste, altre invece le ricordavo fin da piccino, quando ero solito frugare nei cassetti e negli armadi di casa in cerca di tutte quelle cose appositamente nascoste: perché la scoperta di queste valeva quanto una caccia ad un tesoro di cui nessuno mi parlava ma la cui ricchezza sapevo appartenermi.
Nonno era proprio un bel tipo: c'erano immagini che lo ritraevano in pose che si sarebbero attribuite a qualche vecchio divo di Hollywood, come quella sopra, dove sembra decisamente più fico persino di un James Dean (stateci, gen.  Z, fico si usa ancora!). Certo, quanta vita!, e che opera straordinaria questa è stata!
Non la più colta ma la più sentita, la più vera, la più autenticamente vissuta. Mi rammarico, vedendole, di non aver avuto questi miei crucci contingenti ed essenziali prima, di non aver potuto discutere con lui del lavoro o delle donne o della famiglia; non che avrebbe fatto molta differenza, credo, dal momento che era solito insegnare non già a parole ma con l'esempio del suo stesso vissuto e con la coerenza di chi non ha neppure idea che la sua vita è una lezione che qualunque uomo di buona volontà e retta coscienza vorrebbe imparare.
Mi sarebbe piaciuto, però: chiedere, domandargli, interrogarlo come si fa con un maestro. Prima che si ammalasse, quando ancora avrebbe potuto insegnarmi, consigliarmi, guidarmi, quest'uomo, questo padre (e più ancora di un padre) che sento di non aver avuto per abbastanza tempo io che, truccando le carte, l'ho avuto in sorte come nonno —e tale per primo l'ho reso— per una mano felice di un destino che si è rivelato provvidenziale ed al quale ho rubato un tempo che non avrei neppure dovuto avere. Già questo rende il mio credito col Padreterno impagabile.
E allora rendo grazie a Dio per mio nonno Romolo, che quest'anno avrebbe compiuto 88 anni, per tutta quanta la sua vita: per quello che è stata e per quello che rappresentato per me e per chiunque abbia avuto la ventura di conoscerlo. Anche perché sono abbastanza certo che adesso, nonno, i santi non abbia più bisogno di tirarli giù: li strattona per le veste per chiamarli, proprio come faceva con noi.
Ciao nonno, continua ad intercedere per la famiglia. Mi raccomando,

Lallo

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Paragrafi consunti

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