Schermo che mi scampi


Durante una delle lezioni del primo anno, la docente di Letteratura italiana principiò dicendo:
"Non chiedermi questo, lo sai: l'amore è una cosa per giovani".
Una sommessa risatina accompagnò questo suo intervento e si protrasse finché non spiegò a cosa si stesse riferendo: era una citazione da una lettera che il Piccolomini mandava ad un amico che gli aveva richiesto una storia d'amore.
Ricordo come rimasi traumatizzato dalla prepotente idiozia che si imponeva lungo tutto quello scritto e saliva a galla nei punti in cui l'autore più voleva accentuare la forza legante di Amore, che coi lacci tiene le corde. Ad ogni modo, me lo chiesi davvero se fosse così, se cioè l'amore fosse davvero solo per i giovani. L'uomo che lo scrisse aveva quarant'anni (ed una lunga carriera di celibato davanti a sé, anche se ancora non poteva saperlo) e forse il suo tempo ne decretava una più che prematura vecchiaia o, forse, aveva già così intensamente vissuto da non necessitare di trovar ragioni che avallassero le richieste di un amico fin troppo zelante alle Lettere ed assai poco all'esercizio della sua età. Sapete, quest'ultimo aspetto ritengo sia più che fondamentale:
si può vivere una vita intera credendo di avere infinito tempo, di essere stati dei Prometeo che arditamente hanno rubato l'eternità a Dio, ed essere poi schiacciati dal senso opprimente di non averne più quando le cose umane vengono a reclamare il conto e noi non possiamo che pagare con quello che abbiamo avuto in cambio dalle rughe sul viso; ma, se abbiamo vissuto come divinità, il tempo saprà sempre ricordarcelo gettandoci sul capo quelle ceneri d'umiltà che sanno ben parlarci di tutte le miserie accumulate fin lì.
Si può, altresì, vivere con la semplicissima e normalissima cognizione che quel momento arriverà e stare lì, ogni giorno, a preparare gli spicci quando il nostro ospite, poco gentilmente, verrà a chiederci il giusto conto: il tempo non è mai corretto ma sempre giusto ed imparziale.
Vivere, senza ansia ma consapevolmente, la propria vita sapendo che quel momento arriverà è la cosa più umana che si possa fare ed anche l'unico modo per vivere autenticamente la propria umanità. Credo di capire solo adesso quel passo del Qoelet che recita: "C'è un tempo per ogni cosa...", non si riferisce al fatto che ogni azione o accadimento nella vita ha un suo tempo cronologico preciso (come il succedersi delle stagioni, o degli anni, o delle ore, o dei numeri, o quello che volete), no; si riferisce invece al fatto che c'è un tempo (non cronologico ma del vissuto: "un'età della vita", potremmo dire, concedendoci un più che largo abuso di questa espressione) perché le cose accadano nella nostra vita e che ciò che si conviene ad una certa età non lo è più in un'altra: deve allora essere vera la successione delle cose appropriate nella vita. Deve, allora, essere vero che l'amore non è per i vecchi, nonostante ci ostiniamo, novelli Prometeo, a tentare di dimostrare il contrario, convinti di poter fermare o, peggio, invertire lo scorrere del tempo concessoci.
Non siamo eterni. Ben altra, per così dire, è la salsa in cui dovremmo cercare di esserlo.

Ma anche da giovani c'è un tempo per l'amore: guardando a me stesso, non posso smettere di chiedermi se io vi sia fatto, se sia fatto per l'amore. La logica mi dice che, se tendo alla stessa sostanza di cui sono fatto, allora sì, sono fatto per l'amore e per tendere all'amore. Ma il tempo? Conviene che qualcuno come me, colle ossa rotte dall'amore e nei suoi stracci da ventenne, tenda all'amore? Quale età più importa? Quella del cuore segnato o quella del viso immacolato?
E, se pure si convenga, è davvero questo il tempo della mia giovinezza in cui vivere l'amore?
Questa è l'età in cui sussurrare soavemente non è così stolido come a me sembra? Se passasse senza ch'io la vivessi, ahi!, come mi sarebbero allora amari i giorni a venire! Intanto sto qui, siedo.
C'è un caffè nella mia tazza.
E nella mia sofferenza sottile, il mondo sembra ritrovare la sua compiutezza.


Claudio

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