Senza rime


Piove, di nuovo. Vorrei averti accanto. Vorrei saperti alla portata del mio braccio curioso, come in una di quelle mattine assolate di Luglio, quando tenderti un braccio era il gesto con cui mi traevi via dai flutti della mia procellosa esistenza: perché tu sapevi come afferrarmi davvero, e le tue labbra dischiuse conoscevano come salvarmi.
Piove, di nuovo. Vorrei averti accanto, vorrei averti ancora accanto: non come quelle Domeniche quando a svegliarci era il ticchettio della pioggia che disegnava il vetro con tele di rigagnoli, perché i vetri erano assai spesso i nostri e la cortina della pioggia si stendava fra i nostri due letti.
Vorrei, invece, averti accanto come in una di quelle Domeniche troppo pigre e fredde, quando Iddio lasciava che il sole riposasse i suoi deboli raggi sopra una coltre di quelle nubi fatte di stanchezza, e ci bastava solo un caffè ed un bacio lesto, scambiati sotto il piumone, per conoscere una felicità così quotidiana.
Piove, di nuovo. Riscopro me stesso ancora qui, anni dopo, al palo di un verso, di un verbo, di un suono. Legato più al tempo che a questo tempo. Stretto, come sono, nella morsa di un rammarico soffocante; nella presa di un laccio che mi avviluppa il cuore e che vorrebbe tendersi fino al tuo, ora irraggiungibile, lontano, nel suo allungarsi verso il limitare della mia esistenza, dalla quale sta uscendo di soppiatto, come farebbe un cuore gentile. "Amore e 'l cor gentile sono una cosa", dico anch'io col mio Maestro: solo che io non ho rime nuove e ricaccio dalla mia tracolla ancora gli stessi versi, ancora le stesse parole, ancora lo stesso scoramento che con l'animo, però, assai più contrito, rivolgo ora a te. L'Amore, difatti, non ha versi né capitoli, né tu sei una di quelle eroine votate al sacrifizio d'amore: donne che scelgono, con volontà e libertà, di affiancarsi a uomini anaffettivi e stoicamente resistere al desiderio d'affetto, per una sola carezza di quelle mani.
Piove, di nuovo. E sembra che solo ora mi faccia capace di quante altre volte l'ho detto e di quante ancora lo dirò. E sembra che solo ora mi stia facendo avvezzo a questo mio cuore senese, a questo mio cuore di cavallo, a questo mio cuore che scalpita e tiene tutto in sé quell'amore che avrebbe dovuto riversare nel tuo, per farlo traboccare. Cavalco questa mia corda con rigida sella, pur dimentiche che nel Campo si corre a pelo ma non ne sono in grado.
Piove, di nuovo. Non so ancora per quanto. Non so ancora che posto darti nella mia vita, in quale tu ti voglia collocare, in quale resterai, semmai vorrai farlo. Ora, la tua figura è un'ombra sfocata che mi rifugge e che neppure la consolazione del sonno mi rende più vicina; perché nel tuo passo, io negromante, ti leggo un futuro che non mi contempla. Non più. E dal tuo volto vòlto, reimparo l'arte del dolore.

Claudio



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