La rabbia e l'orgoglio


Scemino gli applausi della falsa platea del mondo, tacciano le trombe dell'Apocalisse: adesso parlo.
Parlo e chiedo silenzio. Lo pretendo, in virtù della cortesia fin qui usata. Se le mie parole sanno essere violente, se sanno far male (come credo), allora qualcuno ne risentirà. Se saprò essere l'uomo tragico che so di essere, allora qualche viso si corruccerà. Ogni uomo è drammatico: io, sono un dramma tragico.
Non voglio qui esprimere rammarico, non dispiacere ma un rabbioso dolore, una dolorosa rabbia.
La rabbia per coloro che ci sarebbero dovuti essere e non ci sono stati.
Coloro che hanno avuto il privilegio, l'onorificenza, della mia amicizia e con una falsa e non scusabile ponderatezza, con una delicatezza adatta solo alle persone che si conoscono così poco, sono state nel silenzio.
Mi hanno lasciato nel mio luttuoso silenzio, nel mio grido doloroso all'abisso, a cui solo l'abisso ha risposto.
                                        "Abyssus abyssum invocat"

La rabbia, per aver eletto queste persone e da queste non essere stato, se non eletto, quantomeno stimato degno di essere detto un "vicino amico".
La rabbia, per la loro sensibilità che ha gettato il mio dolore nel cestino: come uno dei tanti fatti troppo lontani per essere vissuti poco più a fondo, come un fatto che si inserisce in un giorno fra molti giorni.
La rabbia, per quel silenzio che qualcosa mi dice essere di devoto rispetto ma l'orgoglio mi fa credere di un'ostinata e tacitante volontà di continuare a vivere.
La rabbia, per chi non comprende che una risata non può sempre salvare il mondo, che l'ironia funziona col dolore solo se è l'addolorato a farne, che il dolore non finisce quando cementi un legno leggero (ahimè sempre troppo pesante!) dentro tante pietre in attesa, ché il vero sepolcro lo hai nel cuore!
La rabbia, per chi ti grida che basta dolersi e lamentarsi e che questa nostra vita va avanti. La rabbia, per chi non sa, per chi non comprende, per chi non vive, che ogni vaso con un pezzo in meno poi si accomoda, ma intanto è fragile.
La rabbia, perché speravo in più di una vostra parola o di qualche poco messaggio. La rabbia, perché non capite che non finisce tutto dopo il funerale ma la cosa continua e non puoi, non potete, dire di andare avanti e che il tempo guarirà le ferite. Non finisce tutto dopo il funerale, non funziona così.
Non sono i tre giorni di pianto, non funziona così.
Chi non vuole vedere, questo pensa: perché il dolore altrui lo spaventa, perché la grande giustezza di questo mondo spaventa chiunque.
Eppure mi chiamaste amico! Diceste il mio dolore, il vostro; la mia rabbia, la vostra!
E allora sappiatemi addolorato! Sappiatemi arrabbiato!
Non per l'ingiustizia di questa somma livella, poiché è la somma giustezza in terra, ma per le vostre parole mancanti, come un'oasi ormai arsa nella traversata del deserto.
La mia rabbia è per voi: perché, nel bisogno, non ci siete stati. Col privilegio di conoscermi bene, le vostre parole rade e ponderate e tutta la vostra sensibilità, non avevano ragione d'essere. Molto vi amo: per questo la mia rabbia è così intensa.
Non ci siete stati.
Ed il mio orgoglio sta qui, a convincere il mio cuore che la vostra non è stata solo delicatezza: e sta facendo un buon lavoro.

Claudio

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