Come il pianeta e l'orbita



- Pronto? Oh, nonna! Ciao! Mmh... ma sì, ma sì, stai tranquilla. Io ed Elisa dormiamo in albergo, tranquilla. Come? Oh, sì, certo, certo. No no, affatto, figurati. Non sogneremmo mai di farcene. Sì, tranquilla, Elisa lo sa, lo sa. Tranquilla nonna, tranquilla. Va bene, va bene, promesso. Allora domani siamo a cena da voi. Perché a cena, dici? Perché io ed Elisa abbiamo altri programmi per la giornata di domani. Dove la porto? Non posso dirtelo, in camera c'è anche lei. Questa sera? No, abbiamo una prenotazione. Ma sì, ma sì, lo so anch'io che un ristorante non è come casa ma dobbiamo proprio andare. Va bene, va bene allora. Ciao, un bacio, a domani sera. Ciao nonna, ciao.
- Tua nonna?- esordisce entrando nella stanza.
- Che? Ah, sì, sì, mia nonna, come sempre.
- E che voleva?
- Mah, lo sai: si chiede perché dobbiamo stare in albergo se abbiamo una casa in cui possiamo stare.
- Beh, me lo sono chiesta anch'io, a dire il vero: -si volta verso lo specchio cercando di armeggiare con dei lunghi orecchini di metallo lucido- perché non possiamo stare dai tuoi nonni? Ripetimelo, ti prego.
- Oh, avanti Elisa, non farmi sembrare un bambino delle elementari! -non è certo la prima volta che mi chiede di ripeterlo ed ogni volta sento in me accrescere un senso di profonda vergogna, quasi stessimo facendo qualcosa di sbagliato, e la voce mi si flette in un irriconoscibile stridolio di seccatura.
- Va bene, va bene -ripeto infastidito- perché in quella casa non avremmo i nostri spazi, tutto qui. Lo sai, la casa è grande ma non moltissimo e non saprei proprio dove potremmo stare.
- La tua camera, ad esempio.
- Oh, Elisa, per favore! Lo sai, la camera non è grande, te l'ho detto molte volte.
- E da quando fai lo schizzinoso? Mi pare di ricordare che gradissi la mia piccola stanza, quando eravamo all'Università... Com'è che dicevi? Ah!
"Parva sed apta mihi"! Eccolo! -conosco bene lo sguardo che mi punta addosso ora, compiaciuto: sa di avere ragione. Stoccata per lei.

- Quella era l'Università e noi non siamo più all'Università.
- Ma io voglio vedere dove hai dormito, dove dormivi quando eri lontano da me... Voglio vedere gli inchiostri, la carta, la scrivania sulla quale tante lettere mi hai scritte perché dicevi di  "non potermi amare meglio di così, più pienamente di così". E poi, voglio fare l'amore in quella stanza...
- Elisa...
- ...voglio cancellare tutte le parole dedicate alle altre donne. Voglio essere l'unica "donna de la vita tua", voglio amarti dove tu sei più tu e dove il tuo cuore è più vicino a se stesso, perché sono certa che non ti conoscerò mai meglio di quanto possa fare lì dentro. Voglio far parte anche del tuo passato, non solo del tuo presente. Io ti voglio amare, .
- Non possiamo, lo sai -ed il volto le sorride mentre glielo dico.
- Beh, -torna gioconda- non credi che sappiano che quello che potrebbe succedere in quella stanza effettivamente succede in questa stanza come pure in tutte le altre stanze in cui abbiamo dormito?- altra stoccata.
- Beh, sì, hai ragione. Ma questo non vuol dire che andremo a dormire lì: in assoluta buona fede ci darebbero stanze separate, oh Elisa, ti prego! Lo sai come sono fatto al riguardo! Lontano dagli occhi, lontano dal cuore!
- Perché dovrebbe dare scandalo il fatto che andiamo a letto insieme?! -si sta incollerendo, brutto segno...
- Ma no, non è questo! Cioè, sì, magari sì... Senti Eli, è la mia famiglia, non è semplice...
Mi si avvicina con aria minacciosa, ora mi è praticamente di fronte,
sembra assai in collera...

Mi si avvicina ancora e...  mi bacia la fronte!
- Ma tu guarda! Il mio timidone! -e scoppia a ridere.
Detesto quando fa così, quando mi prende in giro per cose come queste: saremo anche nel XXI secolo ma certe cose, non so perché, credo ancora che agli occhi della mia famiglia debbano rimanere in un certo modo. Sono fatto così: stampo vecchio. L'ultimo dei cavalieri, per intenderci. O qualcosa di simile: magari senza armatura, di corporatura più gracile, pelle più bianca, fronte più adorna; cose così...
Prendo il mio papillon e me ne vado allo specchio in bagno a metterlo:
sono un uomo e mi sento ferito nell'orgoglio, ho diritto ai miei cinque minuti!

Quando esco dal bagno, la trovo ad aspettarmi. Lei è splendida: un lungo abito in raso di seta nera le disegna la silhouette. Un'ampia cintura dorata le cinge d'intorno la vita, sotto il seno, dando risalto al castissimo décolleté. Il foulard sulle spalle è trasparente, delicato, nero, di seta anche quello. Quasi non è mai parso di vederla più bella di questa sera. Non dico una parola: come potrei? Solo Iddio è memore di quale fortuna sia questa donna per me e solo Iddio sa quanto io infinitamente la ami.
- E beh, nemmeno una parola? Allora, come sto?- è impaziente e vuole una risposta.
- Io... eh... io non credo abbiano inventate ancora le parole adatte per descriverti e, se ci sono, può conoscerle solo Dio. Perché, ti giuro, se ci fossero, io per te le conoscerei...
Arrossisce e abbassa il viso: abita in lei il fuoco Sacro e nascosto, la pudicizia della Vestale, e la fierezza dell'Amazzone. Adesso lo vedo. Lei mi ha aperto il suo cuore, ho visto il suo fuoco e, fatto Prometeo, l'ho rubato per farlo ardere nel mio.



- Andiamo? - il suo richiamo mi trae via dal mio penetrarle l'animo. Annuisco.
- Sì, ma credo dovresti indossare qualcosa di più pesante. Dove andremo potrebbe fare un poco freddo.
- Nell'armadio c'è il mio cappotto per la sera, ti spiace?
- Certo che no! -prendo il cappotto dall'armadio e la aiuto a metterlo.
Dopodiché, a mezz'aria le porgo il braccio, che afferra, e possiamo uscire.

- Allora, mi dici dov'è che andiamo?
- No -risposta secca ed atona. Continuo a guardare avanti mentre rispondo.
- Quindi è una sorpresa?
- Può darsi...
- Ma il luogo è all'aperto?
- Forse...
- Ed è un posto elegante visto l'abito che mi hai fatto portare...
- Esclusivo, oserei dire.
- Oh, andiamo Claudio! Non ci sono posti così a Terracina! Dov'è che siamo diretti?!
- Non parlerò nemmeno sotto tortura...
La sua insistenza mentre traversiamo i corridoi, ma specialmente in ascensore, è di proporzioni bibliche e credo, per rispetto della salute mentale di chi sta leggendo, che sia giusto ometterla.
Traversiamo la Hall dell'hotel e ci dirigiamo verso il giardino.

- Siamo arrivati -dico, fermandomi improvvisamente.
- Come? Qui?
- Ebbene sì, il nostro appuntamento è qui e... ah, eccolo! -di lontano si vedono due fari d'una auto entrare nel giardino dell'hotel.
L'auto si ferma davanti a noi e ne scende l'autista.
- Oh! Alfredo, carissimo! Che gioia! Quanto tempo è passato?
- Troppo Claudio, troppo.
- Ma, che maleducato, le presentazioni! Elisa, ti presento Alfredo, un mio vecchio amico; Alfredo, ti presento Elisa, la mia ragazza. Beh, mia cara, come avrai potuto capire dalla divisa, questa sera Alfredo sarà il nostro chauffeur e questa è la sua auto.
Elisa, incredula, fissa gli occhi sulla lunga limousine nera che ci sta davanti.
Alfredo scatta nuovamente al suo posto. Le apro lo sportello e con un lieve inchino le sussurro: - Andiamo?

Il viaggio non è lungo, ma lei non lo sa. Chiedo ad Alfredo di percorrere il lungomare.
- E beh, dov'è che stiamo andando? -si è fatta decisamente curiosa- Oh, ti prego, dimmelo! -adoro quella tenera voce supplichevole che tira fuori quando vuole ottenere qualcosa. Sono tentato ma tengo duro.
- No, non questa volta, anzi -da una tasca interna della giacca tiro fuori una sorta di fazzoletto scuro- indossalo per favore. -glielo porgo.
- Che?
- Sì, dai, ti prego indossalo. Deve essere una sorpresa. -sono assai compiaciuto di me stesso nel dirlo: questa volta la stoccata è mia.
La indossa incuriosita, cercando di lasciare uno spiraglio per l'occhio, ma la conosco bene, perché più volte, in altre circostanze, una benda sottile è stata il nostro gioco:
- Niente giochi Eli, non questa volta. La benda la legherò io. -sono serio nel dirlo, ma in me rido come un fanciullo entusiasta.

- Mmh... attento ai capelli però!
Le lego stretta la benda, assicurandomi che non possa vedere. Faccio, quindi, segno ad Alfredo. L'auto svolta a destra, non senza difficoltà, mettendoci in una traversa da cui usciamo pochi secondi dopo. Una rotatoria, perfetta. Per far perdere l'orientamento è decisamente perfetta: girando il dito in circolo a mezz'aria faccio segno ad Alfredo di girarla e poi gli indico il numero: tre. Tre volte.
E tre volte giriamo.
- Claudio, ma perché giriamo in tondo? Ho un po' di mal di testa: ma dove siamo?
La voce un poco sofferente.

- Girare in tondo? No, ma che dici? È che ci sono curve molto strette e di seguito, tutto qui.
L'auto, tornando indietro, percorre viale Europa. Siamo continuamente sotto gli sguardi, spesso invidiosi, delle persone che ci vedono passare.
La sera è ormai piena, pur essendo Maggio, e godo delle luci delle case e dei negozi che macchiano indistintamente il vetro fumé.
 Mi avvicino al suo orecchio, mentre l'auto sta per fermarsi: - Dammi la mano -sussurro- siamo arrivati.
L'auto si arresta. Scendo dallo sportello e vado ad aprire il suo, le prendo la mano.
- Attenta a scendere.
- Posso toglierla?
- Non ancora.
- Claudio, cos'è questo brusio? Dove siamo?
Ha ragione sul brusio: un capannello di curiosi si è piazzato davanti al nostro punto di arrivo e qualcuno ci fotografa mentre scendiamo dall'auto. Non capisco perché, voglio dire: una limousine è solo un'auto più lunga, più ingombrante e più scomoda da parcheggiare. Chissà cosa ci trovano di affascinante!
- Niente, tranquilla -replico- tra un attimo lo vedrai. Attenta al gradino basso, ecco, appoggiati a me.
Si tiene stretta al mio braccio.
- Bene, ci sei? Sei pronta?
- Sì.
È visibilmente eccitata ed il petto le sprofonda in ampi respiri, come per calmare la crescente ansietà. Inizio a scioglierle la benda: - Sei pronta? Uno... due... tre...
Quando la benda cade, impiega un secondo per abituarsi alla luce fioca.
- OH! Io... -una lacrima le cade dall'occhio e si volta a guardarmi estasiata
È bellissima, io... io non mi aspettavo tanto, io... -e china ancora pudicamente il volto, come solo lei ho visto fare.
- Veramente Eli, non è questa la sorpresa...
La Spiaggia di Levante, davanti alla quale ci troviamo, è illuminata da alcune torce ficcate nella sabbia che illuminano e cingono il punto in cui sta la nostra mongolfiera. La fiamma alta la fa sembrare una enorme lucerna arancione, di quelle lanciate in cielo durante le feste orientali.
- Allora, andiamo?
- Sì, ma io... ho i tacchi...
- Nessun problema! -e, finito questo, la prendo improvvisamente in braccio.
Un lungo tappeto rosso si stende sulla nostra sabbiosa strada, fino alla nostra zucca personale. Anche i miei passi sprofondano nella sabbia: non credo sia per il suo peso, è piuttosto la mia emozione, ora assai consistente, che mi carica il peso
ma rende più leggero il trasporto.
Il capannello dei curiosi continua a fissarci e c'è qualcuno che ci scatta foto o fa un video con lo smartphone.
- E c'è chi dice che la cavalleria è morta!
- Tu, durante il nostro primo appuntamento, se ben ricordo -altra stoccata per me.
Tira giù, teneramente, il labbro ed imbroncia leggermente il viso:

-Non c'era bisogno di ricordarlo... -replica con una vocina piccata.
Arriviamo sulla gondola e, con delicatezza, la poggio a terra.
- Allora Mario, siamo pronti?
- Certo vossiggnoria!
- Mario! Ti ho detto di non chiamarmi vossiggnoria!
- Certo dottore!
- Vabbè, come ti pare, allora andiamo.
- Claudio -comincia Elisa- ma che...?
- Tranquilla, questa non è la nostra serata: solo un mezzo di trasporto.
Da un cestello in basso tiro fuori una bottiglia per brindare:

- A questa magnifica serata!
- A noi due.
- Sì, a noi due...
E mentre il tintinnio dei calici ancora, cristallino, echeggia, con una fiammata ed uno strattone secco la mongolfiera si solleva.



- Allora, che te ne pare?
- Ma non è pericoloso volare di notte?- domanda lecita.
- No, non per me -rispondo sicuro, strizzando l'occhio.
- Oh, beh, certo, perché per te niente è impossibile e niente è pericoloso, vero?!
- No, perché non ho di che temere nella mia vita e perché la mia unica solida certezza è qui con me...
Le sue pupille si dilatano, gli occhi si espandono come a voler prendere più luce dal mio volto, ed il suo volto radioso si rilassa nella più serena e amorevole espressione io possa immaginare.
- Ti amo, lo sai?
Non le rispondo, non voglio. Mi avvicino, e la bacio. A lungo, teneramente,
come la prima volta.
- Grazie -è la sua risposta alla mia.
La prima volta che la vidi, lo capii: l'avevo afferrata come con tutte le altre non mi era mai capitato. Non speravo allora, non sapevo, che anche lei avrebbe afferrato me. Oh, possedessi io l'anello di Salomone, non per parlare ai demoni ma per capire le note del suo cuore!
- Guarda, il mare... - riprende dopo un attimo.
- Sì, il mare. Non è stupendo?
China un attimo il capo, come a riflettere su qualcosa:
- Claudio, dov'è che stiamo andando?
- Te l'ho detto, è una sorpresa!
China ancora il capo, è strana: - Sì, hai ragione, è una sorpresa. -dice dolcemente.
- Eli, stai bene?
- Che? Oh, sì sì, certo. Tranquillo. -si affretta a rispondere.
- Sicura?
- Sì, sì. Tranquillo.
Mentre parliamo, la mongolfiera continua a salire. In alto, in alto, più in alto ancora. Siamo più in alto di Monte Giove.
- Oddio -mi dice- siamo davvero molto in alto. Non vuoi dirmi proprio niente?
- No, non ancora.
- Beh, da qui il mare è bellissimo e la luna anche. E si vedono le luci di tutta la costa.
- Sì, a dire il vero speravo che la serata fosse così chiara.
Mi si avvicina all'orecchio: - Se fossimo soli, farei l'amore con te qui, ora.
- Anch'io...
- Ti ricordi il primo giorno che siamo arrivati qui? Il mare era bello quanto stasera e tu dicesti che sotto un cielo così, e con un mare così, si poteva stare a guardare solo se si era soli. Altrimenti era giusto aggiungere bellezza alla bellezza.
- E ti ho spogliata...
- Beh, sì. Sei un lusingatore nato. -e ride, ride, incastonando fra due nastri di porpora delle bellissime perle.
Mario, a cui questi discorsi e questi sguardi non sono sfuggiti in questa stretta navicella, ci dice malizioso: - Dottore, vossiggnoria sa che potete fare tutto quello che volete qui sopra. Mario è come se non ci fosse!
- Lo terremo presente Mario, lo terremo presente. -certo, contaci.
Eli, intanto, si accorge che la mongolfiera sta iniziando lentamente a scendere. Siamo arrivati esattamente sopra il tempio di Giove e caliamo ad una certa velocità.
- Claudio, ma... stiamo scendendo. 
È normale? Lo hai programmato tu?
- Tranquilla, stai tranquilla e goditi la serata.
A terra, intanto, due uomini iniziano a prendere le funi che Mario tira giù e, con gli strattoni della fatica delle braccia, ci rubano al cielo. Mario abbassa gradualmente e sempre più la fiamma del bruciatore e finalmente la gondola tocca terra.
Legate le funi, uno dei due uomini ci viene incontro, mentre io apro lo sportelletto e faccio strada ad Elisa: un tappeto rosso identico a quello sulla spiaggia ci indica la strada, incorniciata, esattamente come in spiaggia, da una serie di fiaccole.
- Signor ********, buona sera. Siete in perfetto orario.
- Oh, grazie Michele. Sempre un piacere rivederti.
- Prego, da questa parte.
Michele ci fa strada fino ad un gazebo in legno, su cui posso vedere chiaramente una tavola imbandita per due persone con un piccolo candeliere ed un piccolo gruppetto di persone che, di spalle, non permette di capire quale sia la ragione della loro presenza lì.
Aiuto Eli, che si regge su quei trampoli che sono i suoi tacchi a spillo, a salire i tre gradini del gazebo. Arrivati davanti alla tavola, Michele chiede:
- Posso fare qualcosa per i signori? Preferiscono tenere i cappotti o darli a me?
   Vogliono bere subito qualcosa?
- Io non ho freddo, a dire il vero. Tu Eli?
- Neanche io.
- Bene, credo Michele che tu possa portar via i nostri cappotti, per cominciare.
- Subito, signore.
- E smettila di chiamarmi signore, ci conosciamo da una vita.
- Sissiggnore!
- Michele!
- Scusa Claudio, è più forte di me. Deformazione professionale.
- Scusato, scusato.
- E prendete qualcosa da bere?
- Eli, prendi qualcosa in attesa della cena?
- No, no, niente. Grazie.
- Va bene, datemi i cappotti.
Ci sfiliamo i cappotti e glieli consegniamo. Nel voltarsi per farsi togliere il cappotto, Elisa si avvede dei quattro tizi che avevo già visto arrivando al gazebo. Michele se ne va, ed io mi accosto alla sua sedia, che sposto gentilmente, per lasciarla sedere. Dopodiché iniziamo a chiacchierare.
- Claudio, ma hai visto dove siamo?? Non sapevo che il Tempio aprisse anche di notte e non sapevo che si potesse sorvolare di notte questa zona con la mongolfiera!
- Veramente il Tempio non è aperto: ci siamo solo noi stasera. Ho dovuto chiedere un paio di favori e qualche permesso straordinario per questo, ma è tutto a posto.
- Ed hai organizzato tutto tu?
- Sì, tutto. Anche i musicisti che vedi alle tue spalle; ho curato persino il menù.
- Io non so che dire...
- Ti tocca sopportarmi tutti i giorni, non credo potessi fare altrimenti. Io... io vorrei    poterti dare tutto il mondo, tanto t'amo.
- Ma io non voglio tutto il mondo, io voglio te!
Frattanto i musicisti alle spalle, un quartetto d'archi, iniziano a suonare.
Mi sembra di riconoscere qualcosa di già sentito, ma la mia cultura musicale non è tale da permettermi di fare congetture così articolate.



Michele torna con i menù ed inizia a sciorinare con ostentata affettazione, almeno verso Elisa, tutte le deliziose pietanze che compongono il menù da me stesso selezionato.
Elisa è distratta e guarda il mare. Non so perché. Lo guarda con aria trasognata.

Le candele le gettano addosso una luce particolare, che i suoi lunghi orecchini di metallo lucido raccolgono e riflettono. Orecchini strani: lunghi, vero, ma eleganti, sottili e raffinati. Glieli avevo visti indossare in un'altra sola occasione: per il matrimonio della sua più cara amica, segno che li teneva in gran considerazione per occasioni speciali. Indosso, intorno al collo, porta invece il punto luce che le ho regalato per la laurea: un piccolo diamante, taglio a goccia, che le è sempre piaciuto. Ricordo che, quando glielo regalai, si stupì di trovare quel taglio particolare, più in uso per anelli o, comunque, diamanti più importanti: le risposi che se una cosa ha valore, ha un valore assoluto e, pertanto, non importa la sua grandezza, ma solo il modo in cui lo si tratta, lo si "taglia". Rise, ribattendo che non potevo permettermi un diamante più grande; risi anch'io: effettivamente, non aveva torto.
La cena scorre tranquilla, e silenziosa, se non si tiene conto degli archi alle sue spalle. Parliamo poco, molto poco: della sua imminente seconda laurea e dell'ultimo esame che le dà problemi, delle mie prime impressioni nella nuova redazione e di quanto i tempi dell'Università siano ora lontani.
Dopo un silenzio un poco più lungo degli altri, o così mi è parso giacché i musicisti hanno smesso di suonare, comincia in questo modo:
- Senti, Claudio... dov'è che stiamo andando?
- Beh, siamo qui. Staremo qui. Eli, stai bene? Forse, non ti piace la serata?
- No no, davvero, non è questo. -risponde ancora in fretta- 
È tutto perfetto, solo che... noi... dov'è che stiamo andando noi? In che direzione va la nostra storia?
- Che intendi? -casco dalle nuvole.
- Lo sai: io e te viviamo insieme da quasi un anno e non è una situazione che piace a nessuno dei due, per ovvi motivi. Ricordo tutti quei discorsi, all'inizio, sull'essere felici, sul mettere su una famiglia, sull'avere certi valori...
- Elisa...
- ...e che fine hanno fatto? Sono svaniti? Ci siamo piegati? Ci siamo adattati? Io non      voglio questo per noi, io non...
- Elisa...
- ...non voglio stare così, in questo grigiore indeciso, non voglio...
- Elisa! Per la miseria, fammi parlare! -cavolo, ragazza! Taci un attimo!
Da quando io e lei stiamo insieme non l'ho mai fatto: non ho mai alzato la voce, non mi sono mai imposto in questo modo. E questo spiega bene la sua espressione sbigottita mentre mi guarda ora.
- Ti piace il dolce?
A questa domanda, fatta con estrema naturalezza, ma con ancora un evidente rossore in volto, fa per protestare, ma riprendo rapidamente:
- Elisa: solo sì o no! Nient'altro.
- Io stavo facendo un discorso e tu lo interrompi per il dolce? -ora è rossa in volto.
Ancora con calma: - Solo sì, o no.
- No, va bene?! Sei soddisfatto?!
Faccio segno al cameriere. Il quartetto, intuendo il momento, se ne va.
Il cameriere porta un solo vassoio, a lei.
- Ho detto di no! -risponde decisa.
- Beh, fossi in te io quello lo aprirei.
- Ti ho detto che non voglio nessun dolce!
- Ed io non ti sto chiedendo di mangiare il dolce, ma di fidarti di me. Aprilo.
Il successivo sguardo che mi lancia non so descriverlo: una strana commistione tra la curiosità, il dispetto, la rabbia e la forzatura per qualcosa
che non si vuole proprio fare.
Alza il coperchio: si sorprende un secondo nel vedere davanti a lei un lungo astuccio scarlatto.
È così che pensi di zittirmi? Con un gioiello?!
- Aprilo. -ripeto ancora, con lo stesso tono e lo sguardo sicuro.
Aperto l'astuccio, quello che vi trova dentro la sorprende evidentemente non poco, dal momento che in volto le si dipinge un'altra di quelle espressioni indecifrabili che sempre la rendono una pessima protagonista per una storia, perché il volto rende indecifrabile anche il suo sentire.
Prende l'oggetto tra le mani:
- Claudio, ma che vuol dire?
Adesso, è sinceramente stupita.
- Che vuol dire? Che c'entra questa chiave? Io e te viviamo già insieme... io non capisco.
La chiave, un vecchio modello, di quelle lunghe che aprivano vecchie porte pesanti, è dorata e lucida.
- Leggi cosa c'è scritto lungo la lama.
Cerca l'iscrizione che ho fatto incidere lungo la lama e la legge ad alta voce:
- "Il mio cuore". Il mio cuore.- ripete- Ma, Claudio, che vuol dire?
- Vuol dire che dovresti lasciarmi parlare. Ascolta, -le prendo una mano- quando ero ancora un bambino, ed andavo al porto, guardavo i gabbiani e volevo essere come loro: libero. La prima volta che mi sono innamorato, iniziai a trovare un senso al volo libero, ma accoppiato, degli uccelli che si corteggiavano.
Lo capivo, capivo la loro libertà, e non credevo si potesse essere più felici.
Crescendo e amando, però, ho sempre sentita una mancanza in fondo al cuore: l'assenza di qualcosa di bello, di buono, di qualcosa che mi desse pienezza. Continuavo a guardare al cielo, essendo altrove e non essendoci i gabbiani, in cerca di risposte. Perché sotto le stelle, ovunque, mi sono sempre sentito a casa.
Da quando ti ho conosciuta, poi, è accaduto qualcosa: mi hai reso felice.
Ma, nonostante questo, il mio cuore continuava ad essere inquieto: qualcosa continuava a mancarmi. -vedo chiara, ora, la tensione sul suo volto.
- Mi mancava una casa, che fosse mia, ed il fatto che tu mi riempia il cuore mi ha convinto che è giunto il momento di arrestare i passi, qui. Di fermare la mia spasmodica ricerca, perché io ho trovata la mia casa: TU sei la mia casa.
E quella chiave, la chiave del mio cuore, ti appartiene. Da sempre.
È sempre stata tua, senza che io lo sapessi. Per questo -prendo un grosso respiro e mi inginocchio, aprendo la scatolina- Elisa D'Agostino, vuoi farmi l'onore di diventare mia moglie?


Claudio

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