La finestra araba



- Per questo -prendo un grosso respiro e mi inginocchio, aprendo la scatolina-
   Elisa D'Agostino, vuoi farmi l'onore di diventare mia moglie?

Segue un lungo, interminabile, silenzio in cui mi pare di leggere sul suo volto espressioni contrastanti. Nei tratti ed in ogni singola linea del suo viso, finanche nelle piccole rughe che disegnano l'impronta unica dei suoi occhi, mi pare di cogliere ad intermittenza l'accettazione o il diniego. I suoi tratti, ora, si distendono. Elisa si alza, mi viene innanzi, si inginocchia e mi prende le mani fra le sue:
- Claudio, ascolta, io...

Tre giorni prima

L'aria è torrida. Questi anticipi di estate, che mai ho amato, mi fanno rimpiangere gli anni passati, quando in Maggio la pioggia frustrava gli intenti dei liceali, convinti che la scuola fosse finita prima ancora del suo termine ultimo. Comunque, poco male, non sono sul mare e la montagna lenisce il mio affanno.
Prendere l'auto, la mia -pardon, la nostra, mi direbbe Elisa- non mi è stato possibile perché proprio oggi le occorreva. Sembra che lei e Michela, una delle sue più care amiche ed una delle più belle (homo sum!), abbiano deciso di spendere il primo vero stipendio di Michela alle terme. Michela è irachena: la sua famiglia, originaria di un piccolo villaggio a metà strada fra Baghdad e Nāṣiriya
abbandonò fortunosamente l'Iraq dopo la fine della prima Guerra del Golfo, quando lei aveva un anno appena. L'età dell'innocenza non le ha risparmiato però il dolore della lontananza e l'ha passata al crogiuolo: è la figlia più bella di una terra che conosce il sangue e l'errore fin dal principio.
Ora, non ho mai condiviso l'idea delle terme, neppure quando Elisa me la propose come weekend romantico, ma un'idea mi tormenta e non mi lascia più dormire la notte e la necessità di avere tempo per sbrigare ciò che devo, mi ha imposto un'allegria di facciata per la sua uscita: oh, non sono geloso né contrario al fatto che vada alle terme, ho solo paura di sentire la sua mancanza in quel modo così acuto, che la mia sensibilissima percezione mi ha formato negli anni, da poter rimanere senza aria.
Da qualche giorno, svegliandomi di notte, fisso intensamente Elisa: fisso Elisa, non riesco a dormire, non posso riposare. Un pensiero sottile mi tormenta: la guardo dormire, le scosto i lunghi capelli neri dagli occhi, da quel sottile strato di carne che nasconde la polla di ogni mia parola. La guardo dormire e non ho pace.


- Io so cosa non ti fa dormire. -ero andato a trovare Don Luigi per spiegargli i miei crucci e cercare soluzione all'insonnia che mi tormentava. Avevo preso il treno la mattina molto presto, giustificandomi dicendo che la redazione mi spediva a Roma per intervistare un romanziere emergente.
- Lo sai, Don? E da quando hai una laurea in medicina? -sarcasmo da insonnia, capirà.
- Se lo dici così, la porta è quella. Va', va'. Sei venuto tu da me, eh! -e con quel tono che si spegne, lento e affermativo, come ad attendere solo un necessario assenso, mi stira per bene.
- Sì, scusa Don, è solo che non dormo da un po'. -sono davvero molto, molto stanco.
- Uh, pora stella! Lo vuoi un cuscino?! -ah, ecco dov'era finito Don Luigi, la frecciatina mi mancava.
- Vabbè Don, hai detto che lo sai no? Eh, dimmelo!
- Eh, mio caro, è ora!
- Ora? E di che?
- Indovina!
- E che ne so! Dai, su Don, dimmelo e basta!
- Scusa, eh, tu porti avanti una relazione con questa qua da parecchi anni e adesso convivete pure insieme (bell'esempio per due di Azione Cattolica!), nonostante nessuno dei due all'inizio era d'accordo, secondo te che è successo?!
Rimasi inebetito. Capii dove il Don voleva andare a parare, solo che non sapevo se lo volessi io.
- Quello che tu non vuoi fare, o di cui non vuoi parlare, poi te lo grida la tua coscienza: perché se una cosa è giusta, è giusta e lo sai... Allora, -riprese dopo un secondo- che facciamo, la fissiamo questa data?
Quel "la fissiamo questa data?" fu un vero colpo: caddi all'indietro nella sedia della scrivania in sacrestia, la grande sedia su cui tanto bene mi ero sempre trovato e che il Don mi aveva promesso, insieme alla scrivania (la parrocchia), se mai mi fossi fatto prete. Prima di Elisa, la frase che più spesso ricorreva quando entravo in quella sacrestia era: "Allora, quando entriamo in seminario?" ed io per tutta risposta: "Aspetto un segno, intanto mi accontento della sedia!" scoppiando poi a ridere. Uscito dalla sacrestia, quel giorno, sapevo però bene cosa fare: presi il treno per far ritorno a Bologna e durante tutte le ore del viaggio pensai, elaborai, feci qualche chiamata. Sentivo che era giusto, naturale persino, al punto in cui eravamo, fare quel passo eppure continuavo a non esserne convinto. Nella vita sono sempre stato un romantico, sempre, forse l'ultimo dei romantici: lei me lo ha sempre detto.
Suole spesso ricordarmi come, dopo averle scritta la prima lettera, solo qualche giorno dopo il medico le segnalò che gli zuccheri nel sangue erano molto alti: romantico ai limiti del melenso. Sul treno, i pensieri cominciarono ad affastellarsi: non sapevo bene che fare e che dire una volta tornato a casa.
- Allora, com'è andata a Roma?
- A Roma?
- Eh, sì, lo scrittore.
Tagliava i pomodori per la sua solita insalata del giovedì, quando rientrai, e dopo averle dato un bacio attaccò così.
- Ah, lo scrittore! -avevo dimenticata la scusa inventata, tanto mi ero crucciato.
- Eh, com'è andata?
- No, no niente. Sai, sono un po' giù perché la redazione mi aveva finalmente dato una prima vera opportunità ma questo tizio si è rivelato un buco nell'acqua.
- E che pensi di fare?
- Non lo so, magari potrei avanzare io una proposta alla redazione...
- Beh, non sarebbe male se tu prendessi finalmente l'iniziativa.
- Già, hai ragione. -tacqui lungamente come a rimuginare sulle esatte parole da dire- Senti Eli, perché la settimana prossima non vai con Michela alle terme?
- Alle terme? E tu?
- No, no. Io non posso, devo lavorare. Devo tornare nuovamente a Roma e pensavo, non so, di fermarmi a Terracina qualche giorno per non fare avanti e indietro da Bologna tutti i giorni.
- Sì, va bene. Ma sei sicuro che sia per lavoro? Senti Claudio, -smise di tagliare, si girò e mi guardò negli occhi- da qualche giorno sei davvero strano: sei nervoso, stanco, irritabile, ed è come se avessi uno di quei tuoi pensieri fissi per la testa e, ti conosco, quelli non vanno via da soli. Sei sicuro di voler tornare a casa solo per lavoro? È un po' che non torni e, beh, ti capirei se volessi tornare a casa.
Anzi, potrei prendermi una settimana di pausa dalla tesi e venire con te,
che ne pensi?
- Sì, sì, è splendido ma, davvero, devo solo andare a casa per stare più vicino a Roma: sarà questione di qualche giorno, vedrai. Anzi, facciamo così, perché dopo le terme non mi raggiungi direttamente a Terracina, eh? Che ne pensi?
- Va bene, sei sei sicuro e stai bene, si può fare.
- Sì, tranquilla, è solo la stanchezza e la delusione di oggi.
- Stanchezza? -mi disse con un occhio stretto, felino, come a cercare un punto debole in quello che avevo appena detto.
- Sì, un po'.
- Beh, peccato... Ed io che avevo altri progetti per questa sera... -ormai intuisco i suoi approcci dalla prima parola con una intonazione strana.
- Sì, scusa. Sono molto stanco. Anzi, -mi avvicino e la bacio- spero non ti dispiaccia, ma preferisco andare a letto. A dopo.
È stata la prima volta che ho rifiutata una sua proposta esplicita.
Quella sera, inoltre, presi dal cassetto le gocce che non tiravo fuori da molto, molto, tempo e dormii profondamente come non mi accadeva da giorni.
Ora che, a ragione, Don Luigi mi aveva chiarito la cosa, con il mio stato d'animo presente non me la sentivo di passare un'altra notte in bianco, con crucci probabilmente maggiori. Presi la decisione migliore, sebbene la mattina dopo, al risveglio, non trovai Elisa in casa ma solo un bigliettino con scritto che il caffè era pronto per essere messo sul fuoco e che era dovuta scappare in biblioteca.
Era evidentemente arrabbiata: non potevo darle torto, solo non volevo metterla a parte di quello che mi passava per il capo, non ancora perlomeno.
Dovevo prima fare una cosa.
Questa cosa è il motivo per cui, questa mattina, ho preso il treno delle 8:42 per Pescara ed ho lì preso un cambio per una cittadina chiamata Manoppello. Manoppello, per intenderci, è una cittadina nel cuore dell'Abruzzo ed è la più vicina a dove debbo recarmi, nonché l'ultima città raggiunta dal treno che possegga anche un servizio per affittare auto. La mia, come dicevo, la stanno usando le allegre amiche che se la spassano alle terme. Nonostante la montagna, l'aria è torrida. Questa mattina, il treno, percorrendo la costa adriatica, mi dava una piacevole brezza: ormai, solo un ricordo. Percorrendo la statale, sono quasi arrivato: vedo Capestrano alla mia sinistra e capisco come non debba ormai mancare molto.
Circa sei o sette minuti dopo, infatti, ecco apparire il segno che aspettavo:
"Benvenuti ad Ofena".


Ofena è un piccolo paesino arroccato sulle montagne, una piccola perla bianca al limitare del Parco del Gran Sasso che, circondandola, le fa da castone. Sembra che tutto l'Abruzzo per me abbia più di un senso, ma questa, questa terra, questi monti, hanno più senso di molte altre cose. Più significato di tutto il suolo da me toccato: rappresentano, forse, la mia vocazione ultima.
Quella che sto cercando è una piccola casa, poco fuori la cittadina, e vicina un vecchio monastero che ben conosco. Non entro in città con l'auto ma le giro attorno, sapendo che non manca molto. Le uniche indicazioni che posseggo sono delle descrizioni molto poetiche ed idilliache, ma appena abbozzate. Trovato uno spiazzo ghiaioso, vi lascio l'auto continuando a piedi: non dovrebbe mancare molto. Di fatti, dopo qualche metro, la scorgo: una casa bianca, semplice, come ce ne sono molte in campagna ma con una finestra particolare orientata ad ovest.
La finestra è del colore dell'alabastro, in stile arabo, adornata di due colonnine tortili e decorazioni a mosaico, con un complicato lavoro ligneo a coprire la veduta: è decisamente il posto giusto.
Inizio a contare i passi che mi separano dalla porta di casa...
Uno: oddio e che dico adesso? Non sono pronto, non sono pronto, perché sono venuto?!
Sette: No, posso ancora tornare indietro, sì, lo posso fare. Devo solo mettere un passo dietro l'altro e tornare indietro, non ci vuole molto.
Quindici: no, non posso. Sono qui e devo andare fino in fondo. Se me ne andassi non me lo perdonerei mai.
Ventisei: oddio, ma perché mi lascio sempre convincere da quello che dicono i preti???
Quarantatré: Sono quasi arrivato al cancello, non posso tirarmi indietro.
Ma perché, perché? Ok, Claudio, stai calmo: dei solo evitare di andare nel pallone, solo questo, solo questo!
Sessantotto: ossiggnore, aiutami! Quasi speravo questo cancelletto fosse chiuso: come si fa a vivere in campagna con un cancelletto così semplice come protezione?! Il muro è alto appena poco più di me! Dammi le parole giuste, Signore!
Dammi le parole giuste!
Novanta: un'ancora in giardino! Se penso ancora a come sia giunta qui mi viene da ridere! No, non devo ridere, devo stare concentrato, concentrato!
Centosette: bene, sono arrivato. Non devi far altro che suonare al campanello, va bene? Suona, su, suona.
Uno, due e NO! Il dito mi è partito da solo! Bene, bene, bene: stai calmo Claudio, STAI CALMO!
La pesante porta di quercia si apre e cigola sui cardini.
- Claudio! Ma... che ci fai qui? Ed Elisa?
- Posso entrare?
- Sì, sì, certo. Accomodati.
La stanza in cui il mio anfitrione mi fa accomodare è una grande cucina, buia.
La luce entra solo da una piccola finestra che da ad ovest, abbastanza grande da poterci mettere una piccola piantina di basilico sul davanzale, ma non abbastanza perché possa filtrare luce. La luminosità che la pervade, lo so perché mi è stato spiegato, viene da un sapiente uso di specchi che si trovano nella parte alta delle pareti e che riflettono la luce proveniente dal salotto.
- Ti verso qualcosa da bere? A che debbo l'onore? Elisa mi aveva detto che probabilmente non vi avrei visti prima di Settembre: come mai questa visita?
La curiosità del mio interlocutore è sincera e la mia visita è inaspettata. Non volevo che qualche voce potesse rovinare quello che ho in testa ed è per tale ragione che non ho voluto avvisare.
- Che? Bere? Ah, no, grazie: sono astemio!
- Beh, io ci provo comunque: spero sempre che prima o poi tu corregga questa brutta inclinazione! -e scoppia a ridere.
Il riso di quest'uomo io lo conosco. La pelle bruciata dal sole, come Elisa quando torna dalla spiaggia, e dalla fatica del mare prima e della campagna ora. Le due grosse sopracciglia folte, e grigie, quando ride sembrano separarsi per andare in direzioni opposte e scendere quasi a contornare il viso. La fronte si rivela, allora, in tutta la sua ampiezza e la bocca si spalanca in una risata grossa, ma piacevole, che fa brillare i suoi denti: denti tutti suoi, fino all'ultimo, quasi finti per quanto ben curati.
- E che hai fatto? Perché non ridi? Claudio, ma è successo qualcosa con Elisa? Oppure è successo qualcosa ad Elisa? -adesso il tono è preoccupato.
- Elisa? Oh, no no, non c'entra niente. O meglio, c'entra, ma non è questo...
- E allora che c'è? Eli mi ha detto che l'hai invogliata ad andare alle terme e questo mi è parso strano, perché l'hai fatto? Sicuro che va tutto bene?
- Sì, sì.
- E allora non dovresti essere a Roma?
- No, io sono esattamente dove dovrei essere. Signor D'Agostino, -prendo un grosso respiro- io sono qui per chiedere la sua benedizione: ho intenzione di chiedere la mano di sua figlia e, se me la concederà, io sarò l'uomo più felice di questo mondo! -d'un sol respiro, ho detto tutto. Ce l'ho fatta!
Cala un innaturale lungo silenzio.
- Andiamo in giardino, ti va?
Annuisco.
- Bene, vieni.
Il salotto, che attraversiamo per arrivare in giardino è effettivamente molto ampio e luminoso e dotato dei famosi specchi, oltre ad essere dipinto con un color crema che, risaltandone la luminosità, la attenua e non infastidisce l'occhio. Una grande porta-finestra ci conduce sul patio esterno, in legno scuro, con un tavolo e due sedie alla mia destra. Enzo (così si chiama il padre di Elisa), però, continua a scendere e mi indica una panchina in pietra sotto il vecchio ciliegio, adesso in fiore, che caratterizza da sempre la casa e che contribuisce, insieme alla particolare finestra ed al colorito della pelle del signor D'Agostino, a darle il nome di "Casa dell'Arabo".


- Siedi vicino a me, vieni.
È molto bello qui.
- Sì, sì, hai ragione. Elisa mi ha sempre detto che hai gusto per le cose belle. -si ferma un attimo, il capo chino a terra- Senti, -riprende- quando mi fidanzai con la madre di Elisa, non possedevo grandi fortune e neppure i soldi necessari per comperarle un anello. Ero figlio di una contadina e di un pescatore, non potevo permettermi molto e tantomeno molto potevo promettere. Quando andai a chiedere la mano a suo padre, mi chiese che cosa avessi per poterle garantire un futuro: io avrei voluto dirgli che potevo promettere tutto il mio amore, ma feci l'unica cosa che sapevo avrebbe capito. Gli aprii la mano chiusa a pugno e gli diedi un seme. Lui la richiuse e poi la riaprì di nuovo: mi guardò negli occhi e mi disse che, se davvero sua figlia era innamorata di me, lui mi avrebbe trattato come un figlio. Nel bel mezzo di questo giardino piantò quel seme e quando cacciò i primi fiori, io e mia moglie ci sposammo. Tu ed Elisa, però, siete diversi: avete tutti e due grandi possibilità e tutti e due siete follemente innamorati l'uno dell'altro. Tu sei una persona che stimo e rispetto e sei lavorativamente valido: questo non nuoce mai. Non conosci la fatica della schiena spezzata a sera, ma la vita ha provato a spezzarti molte e molte volte, Elisa me lo ha detto, ma sei ancora qui. Ed oggi, venendo a chiedere la mia benedizione, tu mi fai felice e mi doni quel rispetto che io posso ben capire.
Se mia figlia è innamorata di te, allora io vi concedo la mia benedizione.
Alzati, figlio, e fatti abbracciare!
Enzo mi guarda, con gli occhi lucidi, e mi abbraccia. Poi fa qualcosa che non capisco: mi tira un pugno nel bel mezzo delle scapole che mi lascia senza fiato.
I suoi occhi grigi sono incorniciati da quelle folte sopracciglia, ora talmente vicine da sembrare un unicum.
Ancora senza fiato: - Signor Enzo, perché m'ha tirato quel pugno?
- Per darti il benvenuto nella famiglia! Adesso, però, bisogna avvisare mia moglie ed i parenti ed i miei figli e... e tu stanotte dormi qui! Assolutamente! E non accetto un no come risposta! Non posso lasciarti guidare e poi tornare a casa a tarda sera senza nemmeno aver pranzato! Oggi ti fermi da noi!
- No, guardi, io ho molto da fare. Devo organizzare la cosa, devo telefonare, disporre, parlare con delle persone...
- Tutte cose che potrai fare anche domani! Niente proteste! Oggi sei nostro ospite!
- Sì, però, la prego: niente feste e festeggiamenti. Non voglio che nessuno, oltre lei, lo sappia.
- E perché? Te ne vergogni forse?
- Assolutamente no. Ma lei lo sa: se sua moglie lo sapesse o, peggio, le sue figlie, non potrei fare più alcuna sorpresa ad Elisa. Per la gioia le direbbero tutto e tutti i miei piani salterebbero.
- Hai in mente qualcosa di particolare?
- Particolare? Straordinario!
- Lo vedremo, lo vedremo... Adesso entriamo, Angela sta per tornare.
Quando arriva anche la padrona di casa, ci accomodiamo e pranziamo.
Invento una scusa per spiegare la mia presenza lì e, subito dopo pranzo, vado in veranda per scrivere e fare quelle famose chiamate.
Prenotare tutto quello che potrebbe servire è cosa molta lunga e, come previsto, di alcune cose dovrò occuparmi andando personalmente a Terracina.
Non molto prima di cena, Enzo mi chiama dicendo di volermi far vedere la stanza dove avrei riposato ed i servizi, nel caso volessi fare una doccia.
- Vieni, da questa parte. Attento all'ultimo gradino però, in molti tendono a scivolare.
La casa non è molto grande, è vero, ma è sicuramente ben progettata e ben pensata.
- Ecco, -riprende svoltato un angolo- questa è la stanza di Elisa. O meglio: la stanza di Angela Maria, Francesca ed Elisa. La porta che hai visto salendo le scale, invece, è quella della stanza che fu di Gabriele e Nicola.
- Ah, e adesso dove sono?
- Gabriele in una parrocchia di Castel del Monte, Nicolino è in seminario a Chieti.
- Nicolino?
- Beh, devi lasciare a questi vecchi i loro vezzi: lo abbiamo sempre chiamato così, è sempre stato il più piccolo di casa...
- Ed è sempre convinto di voler diventare prete?
- Dovresti saperle certe cose: tutti scelgono, ma nessuno sceglie. Chi chiama è sempre Lui.
- E Nicolino è stato chiamato?
- Lui dice di aver trovato l'amore di tutta una vita.
- Glielo auguro...
- Allora! Torniamo a noi: come vedi, questa è la tua stanza per stanotte! Se non ti ho dato la stanza dei maschietti è solo perché Nicolino torna ogni tanto, mentre questa stanza è disabitata da tempo, troppo tempo... -una leggera amarezza gli illumina gli occhi e si confonde col riflesso della luce che tramonta- Ma, adesso che tu ed Elisa, beh, potrò contare sul fatto che sarà presto destinata ad altro uso? -ohi, ohi, ha detto quello che penso abbia detto?!
Imbarazzatissimo, divento di un color porpora: - Beh, non mi ha ancora detto di sì...
- Conosco mia figlia: te lo farà penare quel sì, ma te lo dirà. -e giù un altro pugno fra le scapole!
- Mi dica, la finestra?
- Beh, Elisa te lo avrà detto: è stata una sua idea. Angela Maria abita al piano di sotto con noi, in una sua stanza: ormai non speriamo più che si sposi. Sai, quando una persona attraversa quello che ha passato lei, è difficile. Dovemmo adattare la stanza vicina alla nostra dopo quell'incidente: non riusciva a stare più in stanza con le sorelle, aveva il terrore.
- Sì, Elisa me lo ha detto...
- Allora saprai anche che, appena un anno dopo, se ne andò Francesca. Povera figlia mia: questa casa le stava troppo stretta, non poteva vedere sua sorella in quelle condizioni e preferì andarsene. Adesso, però, è felice. Certo, la vediamo poco ma suppongo che un'interprete a Bruxelles abbia sempre molto da fare. Elisa però rimase, per obbligo, certo, perché non poteva andarsene: troppo giovane.
Dal giorno dell'incidente non la vidi felice per molto tempo, poi, di punto in bianco, una sera mi presentò un disegno: era quello della finestra araba. Si era chiusa nella piccola biblioteca di paese per tre settimane, leggendo tutti i volumi possibili sull'arte araba. Ed io la feci per lei. Non la vedevo così entusiasta per qualcosa da prima della partenza di Francesca. Non riuscivo a capirla, ma mi piaceva riavere mia figlia. Quando io terminai, lei chiuse la stanza per tre giorni, proibendo a chiunque di entrare, e finì decorando la finestra a mosaico. Fino a quando non vidi il lavoro completato, al tramonto, non potei capire perché le desse tanta gioia.
Come puoi vedere, mia figlia ha sempre avuto gusto per la bellezza: non ho mai capito perché abbia scelto un campo di studi scientifico!
- Nemmeno io! Ahahahahah! Ahahahahah! Ahahahahah!
Scoppiamo a ridere di gusto, tutti e due.
Guardando questa finestra, ne scorgo il disegno che si forma a terra: il modo in cui l'ombra intrappola la luce e ricordo la rete in cui io pure sono ormai intrappolato: la rete degli obblighi, dell'onore, delle promesse.
Smetto di ridere, così, e divento una maschera di dubbi.
- Lei quando l'ha capito che sua moglie era quella giusta?
- Un giorno, quando ero a pesca. C'era con me un ragazzo, appena tre anni più giovane, che continuava a parlarmi della sua fidanzata e di come avesse voglia di sposarla appena sbarcato, se solo avesse avuto i soldi. Quando io gli chiesi perché, lui mi rispose che quelli come noi non avevano casa e che allora la casa non poteva essere un posto, un luogo fisico, e se non era un posto allora doveva essere una persona. E se era una persona, allora lui l'aveva trovata. Tutti dicevano che la casa, il mattone, era il più grande degli investimenti: lui, quindi, era l'uomo più sicuro e più ricco del mondo.
È una storia molto bella: posso riciclarla? -dico ridendo.
- Non vuoi sapere come va a finire?
- Mi dica.
- Il ragazzo pescò una conchiglia con una perla, che fece incastonare in un anello che era di sua madre, e la regalò alla sua fidanzata come pegno di nozze: meno di un anno dopo, venni a sapere che il tizio si era ammazzato con un colpo di pistola. Aveva trovata la moglie a letto con un altro.
- Ma è una storia terribile!
- Sì, lo è. Però quello che disse sulla barca mi fece pensare ed aveva ragione. Nonostante tutto, aveva ragione. Certo, la sua è stata un'esperienza negativa, ma perché dovrebbe esserla quella di tutti? Ognuno di noi ha una propria vita ed un proprio bagaglio: il suo ragionamento era comunque giusto. Se ti senti a casa con mia figlia, diglielo. Se ti dà pace, fermati ed amala per sempre. Poche altre cose ti daranno una pace ugualmente piena. Il discorso che ti ho fatto oggi, era per farti riflettere: se non sei convinto, lascia stare. Oltre me, nessuno sa ancora alcuna cosa. Ma, ti ripeto, se lei è la tua casa, la tua pienezza, la tua gioia, allora vuol dire che sei pronto e questo, questo dubbio, è solo la paura di pronunciare quelle trentanove parole.
- Grazie -dico con gli occhi leggermente lucidi.
- Sì, beh, di niente... -ribatte con aria modesta.
- No, no, davvero. Voglio dire: spero che quello che ha detto oggi sia vero. Spero davvero che lei mi possa considerare come un figlio, perché in tutta la mia vita non avrei desiderato altro che di avere un padre come lei.
Il signor D'Agostino si imbarazza un attimo, poi riprende spigliato:
- Ah, comunque oggi sei riuscito a mettere bene mia moglie nel sacco! Devo ammettere che l'idea dell'album di ricordi per il vostro anniversario è stata brillante! Hai fatto teatro?
- No, anche se Elisa mi ha sempre detto che, se non sapesse che non voglio mentirle, sospetterebbe sempre di me. Come al primo appuntamento, quando mi disse che avevo modi assai teatrali.
- Non ha torto, sei bravo in questo: adesso, però, che ne dici di scegliere davvero qualche fotografia? Altrimenti Angela potrebbe insospettirsi...
- Oh, certamente! Allora pensavo...
Il discorso continua così per un po'.
Passo tutta la serata, dopo cena, nella veranda della Casa dell'Arabo, col capo all'insù, alle stelle. Rifletto su quale sia il mio posto, il mio per sempre.
Alla fine, mi addormento.
Al mattino presto, svegliato da Enzo che si reca nei campi, mi accomiato. Il passo, che dalla porta mi conduce all'auto, è più leggero, meno greve del giorno precedente: so bene cosa intendo fare. Le stelle sono buone consigliere.
Riprendo l'auto, alla volta di Manoppello, e di lì, il treno per Pescara.
A Pescara, cambio alla volta di Roma e di Terracina. Ci sono molte cose da fare.

Oggi

Elisa si alza, mi viene innanzi, si inginocchia e mi prende le mani fra le sue:
- Claudio, ascolta, io devo dirti una cosa: non sono stata completamente onesta
con te.
- Che vuoi dire? -sento la sua pressione sulle mani, e le mie iniziare a sudare.
Un nodo mi serra la gola, le parole mi escono aride.
- Voglio dire che io ti conosco, da sempre, da prima che tu mi conoscessi.
- Non capisco.
- Era una cosa che volevo dirti da un po'. La prima volta che ci siamo incontrati in quella chiesa, ti ho riconosciuto. È stato molti anni fa: probabilmente eri da quelle parti per via di un campo, ma io ti ho visto. Andavate tutti verso il vecchio convento dei Cappuccini, portavate le valigie a mano perché la strada era troppo stretta per il bus. Tu eri in mezzo a tutti gli altri, ed eri il più curioso ed insignificante di tutti...
- Ma grazie amore, complimenti su complimenti! -ho la fronte imperlata.
- Io vi ho visto, dalla finestra della mia camera. Notai te in particolare. Non eri bello, non lo sei mai stato. Non eri neppure estroverso.
- Eli, un semplice no sarebbe più gradito. -sudo freddo.


- Una sera, forse te lo ricordi, un gruppo di fuori, di quelle parti, venne a trovarvi. Era l'ultima sera del vostro campo: il gioco era "Sette spose per sette fratelli".
- Ah, sì. Una delle mie peggiori figuracce: Eli, devi proprio rivangare?
- Mi lasci finire per una volta! Hai parlato tu ininterrottamente, adesso fammi finire! Oh! -si calma un attimo- Dicevamo: il gioco era "Sette spose per sette fratelli" e tu, ultimo, ti rifiutasti di giocare perché convinto di tradire colei che "amavi".
Non riuscirono a smuoverti, me lo ricordo. Si misero tutti a ridere e lo feci anch'io. Mi dispiace per quello. Dopo i giochi, però, quando la serata proseguì e tutti si misero a chiacchierare, notai un capannello di persone attorno a te. Eri buffo ed impacciato, ma quando parlavi di cose che ti appassionavano avevi uno strano magnetismo ed una sicurezza invidiabile: in quel momento ti trovai persino carino. Ma tu non ti ricordi di me, vero?
- Oddio Eli, sono passati molti anni, più di dieci: mi è difficile ricordare... -sudo ancora freddo, ma per altro motivo. Mi sento in difficoltà e quasi colpevole nel non ricordare tanti dettagli. Di quel campo, io ricordo solo Silvia.
- Sì, l'ho sospettato durante il nostro primo appuntamento: continuavo a lanciarti messaggi nascosti ma tu non ricordavi. Comunque non fa niente: non ero bella neppure io. Ero timida e più chiusa del solito: avevo tanti problemi in quel periodo. Mi piacesti dopo quel discorso, era bello parlare con te.
- E di che parlavo durante quella serata?
- Arte araba. Parlavi di quanto fosse bella, nonostante non fosse cristiana.
- Ah!
- Sì, tu forse non lo sai, ma quel discorso mi cambiò la vita. Comunque, quella sera, chiesi ad una mia amica di rubarti un quaderno, quello delle poesie. Presi una pagina tutta per me e vi scrissi sopra una cosa, a matita.
- Il quaderno scarlatto! La scritta! Come no! Non ho mai saputo chi fosse stato, pensavo ad uno scherzo. Ma com'era...difficile ricordare...
- "Nel mondo ci sei solo tu,/ unica stella..."
- Sì, esatto! Eccolo! Però, perché non me lo hai mai detto prima?
- Perché all'inizio ero curiosa. Io lo so: tu non credi nel destino, ma io sì. Tu non puoi saperlo, ma quella finestra di cui ti ho parlato e che si trova a casa dei miei genitori, l'ho fatta fare qualche settimana dopo averti incontrato. E spesso, guardando la strada, ti pensavo. Speravo che saresti ricomparso, perché avevi lasciato un segno visibile nella mia vita, ed invisibile nel mio cuore. Mi appassionai a quell'arte, solo perché amai il modo in cui ne parlasti: con quella passione e quel tuo modo di guardare nel nulla, come se tu fossi stato realmente in quei luoghi e ne avessi contemplata la bellezza. Come se ne avessi una visione, eri quasi in estasi.
Tu pensi che io non ci faccia caso, ma li noto quei tuoi sguardi: quando pensi ad un progetto, un desiderio, un...
- E quando guardo te?
- Non lo so. Io non lo so che cosa provi quando guardi me, perché mi smarrisco in quel tuo sguardo: perché mi fai credere possibile che io sia una di quelle cose belle, belle davvero, una di quelle cose che meritano quel tuo sguardo profondo,estasiato.
- Elisa, io...
- No, ascoltami. Tu mi hai salvata, tanto tempo fa, ed adesso vieni a dirmi che io riempio il tuo cuore, che ti do pienezza, che sono la tua casa. Beh, mio caro
Cli Cla (non ho dimenticato neppure questo), ce ne hai messo di tempo!
E piange, piange mentre le accompagno l'anello al dito.
- Braviiiiii!!! Bravi!!!! Braviiiiii!!!! Bravissima figlia mia, bravissima!!!!
- Ma che diavolo...?!
- Scusa Claudio -mi fa Michele- volevo dirti che era arrivata una telefonata ma tu ti stavi dichiarando ed il signore ha chiesto di essere messo in vivavoce...
- Ma chi è?!
- Braviiiii!!! Elisa, Elisa, sono papà! Sono qui con tutta la famiglia! Oh, Elisa, se non gli avessi detto sì dopo la prima parola, ti avrei diseredata seduta stante!
- Papà?!
- Abbiamo sentito tutti! Tutti vi fanno i complimenti! Congratulazioni! A quando le nozze? Facciamo presto, mi raccomando! E poi un nipotino! Su, dateci un nipotino! Vogliamo un nipotino, presto!
Elisa mi si avvicina all'orecchio, col trucco sfatto per le lacrime, e mi sussurra una cosa. Le sorrido e, col dito, le pulisco il trucco colato:
- Beh, signor Enzo, suppongo che io e sua figlia ci sposeremo prima di quanto previsto...

Claudio



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