How I met your mother


Devo ammettere, miei amati, che questo periodo di studio mi ha tenuto lontano da queste pagine, non senza mio grande rammarico.
Mi tornava alla mente, in questi giorni, -permettetemi davvero questo tono così informale- mi tornava alla mente, dicevo, questa serie tv che seguo da diverso tempo e che, dopo otto anni di trasmissione, vedrà la sua ultima stagione iniziare il prossimo settembre.
Per chi non la conoscesse, in sunto, è la storia (un iperbolico flashback del protagonista) di Ted Mosby, architetto e padre, che racconta ai suoi figli, ormai sedicenni (nel 2030), del modo in cui ha conosciuto la loro madre.
Tranquillizzo gli appassionati della serie che la seguono esclusivamente in italiano: non propongo alcun tipo di spoiler qui.
Solo, ritengo interessante l'escamotage utilizzato nella serie e che tiene, a buona ragione, incollati alla serie milioni di appassionati.
Ogni puntata inizia con le immagini dei due poveri figli che, ormai stremati, si apprestano ad ascoltare un'ennesima storia del loro padre.
Ogni puntata, ogni volta, quei due poveri ragazzi sono lì. Solo per ascoltare come,
il loro padre, sia riuscito infine ad incontrare la donna della sua vita.
Qualche giorno fa, allora, in modo assai idiota, ho iniziato a chiedermi
-cercate di intendermi- se mai ci sarà un divano a casa mia.
Se mai ci saranno due giovani ragazzi ad ascoltare la storia del loro malmesso padre e di come questo sia riuscito ad incontrare e far innamorare la loro stupenda e pazientissima madre. Se mai ci sarà una donna.
Perché, infine, qui cade rovinosamente ogni punto del discorso.
Qui, si squarcia il velo del mio timore. Qui, il sipario svela l'attore impreparato.
Ogni altro punto su cui volge il discorso è vano, senza questo primo.
Credo, permettetemi quest'ombra di dubbio, di soffrire un poco della sindrome di "Ted Mosby": la sindrome dell'anima gemella, o di qualunque altra cosa sia/in qualunque altro modo si chiami.
Il timore costante che là fuori, forse, non ci sia davvero quella "giusta".
So bene che alcuni fra voi non ritengano esistere una "persona giusta" per ognuno ma, piuttosto, che ognuno debba impegnarsi e costantemente limare qualcosa di se stesso/a per cercare di far funzionare una relazione amorosa e, abbiatene fede, anch'io ero fra voi. Anch'io ero uno di questi.
Tuttavia, il tempo mi ha insegnato essere vero tutto ciò che vi ho detto ed essere vero anche il concetto della "persona giusta".
Si dice, spesso, che quest'ultima sia una sorta di caso, una coincidenza voluta dal destino o dall'Universo o da qualunque altra cosa si chiami in causa a giustificarne l'esistenza, ma personalmente non credo sia così.
L'anima gemella, la "persona giusta", esiste davvero. Ma non come la intendiamo.
Non esiste predestinazione in questo: nessun caso, nessun mutamento dell'universo, nessun gioco del destino, nessun tiro di dadi di Dio.
Esiste una persona, ne sono assai convinto, che più di altre risulta esserci affine o, comunque, in grado di meglio sopportarci.
Sopportare le nostre isterie, i nostri difetti, i nostri "no", le nostre bambinate. Sopportare -sub portare- portare dal basso, insieme a noi, i nostri pesi ed i nostri carichi, aiutandoci a trasportarli o a disfarcene.
Il bello di tutto questo è il fatto che per quasi tutti noi, da qualche parte, nascosta in mezzo ad un mare di facce, si trova quella persona. Quasi come che la natura, nella sua greca perfezione, avesse generato non spiriti affini, non anime gemelle, ma un essere, unico, che possiede le sole lenti in grado di mettere a fuoco il nostro cuore. Essere a cui poi, Dio, avesse dato alito di vita, avesse dato anima.
Tutto quello che poi ho sopra detto: l'impegno, l'onestà, la fedeltà, l'umiltà, è tutto vero. Solo che, questo, occorre per tener saldo il rapporto, per crescere insieme e costruire qualcosa. Ma non può prescindere da quella persona.

Ne esiste una, una sola: tutto il resto è pura menzogna e carne.
Tuttavia, ne sono convinto con altrettanta forza, esistono esseri messi al mondo per la solitudine. Messi al mondo per essere soli.
Forse non soli in assoluto: amati certo, in molti modi. Amati, e da molti.
Amati sempre da Dio.
Ma non amati in quell'unico modo che, probabilmente, vorrebbero.
Ebbene, forse è vero, sono in questo mondo solo dalla prima ora, eppure non posso fare a meno di chiedermelo, e di tediarvi perciò, se questo attacco acuto di Tedmosbite sia, come tale, solo un attacco -e perciò che davvero ci sia qualcuno lì fuori anche per me, in grado di sopportarmi- oppure sia un segno premonitore del tempo mio futuro. Segno premonitore dei figli che non avrò mai, a cui non racconterò mai la storia di come conobbi la loro madre, segno premonitore di un divano che sembra appannarsi e confondersi nella nebbia di un incerto futuro. Segno premonitore del marchio, postomi in fronte, che mi dichiara amante non unico della solitudine.
Ma forse (vi prego, non scrivete mai "ma forse") ha davvero ragione una mia carissima amica quando, sempre convinta, dichiara solenne che, a questo mondo, esiste qualcuno per ognuno.
Non son solito cadere in considerazioni dal tono così prosaico e dal carattere così banale ma non posso far altro che dirvi: speriamo, speriamo che abbia ragione. Davvero.

Vostro, Claudio



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