AnnoZero


- Buongiorno, prego. Ecco, da questa parte. Signora Speranza si accomodi. Benvenuta nel mio umile cuore. Le piace il vestibolo?
Vedrà, il salotto è anche meglio!
La Speranza guarda, dicendo qualcosa tra sé e sé.
- Gradisce un thé? O forse un caffè?
- Caffè, grazie.

- E caffè sia. (Dopo qualche secondo, dalla cucina) Metto su il caffè e sono subito da lei.
Passa ancora un minuto
- Eccomi, eccomi, mi scusi.
- Allora, mi ha invitata qui oggi e...
- ...e lei voleva sapere il perché.
- Beh, ovvio!

- Signora Speranza, prima di dirle perché l'ho invitata qui, vorrei raccontarle un poco del mio passato anno, se permette.
- Ovvio, ovvio. Non ci sto capendo molto, ma dica ugualmente: oramai son fatta curiosa.
- Il mio passato anno non è iniziato bene: il saldo era negativo fin dal primo giorno, e negativo di molto. Avevo persa Zippora, la mia più cara amica, e questo perché, di lei, m'ero infine innamorato. Inevitabile, oserei dire. Non sarebbe potuta andare altrimenti: con nodi troppo stretti me l'ero legata al cuore e la sua essenza, forse per trovar spazio, proprio nel mio cuore s'era insinuata. Ed il mio cuore ferito è grande, sempre molto grande: un'ampolla fragile, una scultura bellissima.
L'avevo perduta una prima volta confessandole i miei sentimenti e, cercando di recuperare quel rapporto, l'avevo perduta nuovamente: mi reputai un essere dissennato e mi dissi pronto, in quei giorni di Gennaio (i miei giorni della Merla), ad ignorare ogni dolore io potessi provare perché la sua assenza era "più acuta presenza". Ero, ormai, così assuefatto dal suo stare nella mia vita, dal valore che aveva acquisito nei miei giorni, dalla pregnanza per il mio esistere, che non sapevo più come farne a meno.
E sono affondato. Sono andato giù, colato a picco: devastato dal suo non esserci e da quel lutto che ancora mi faceva male al cuore. Quella persona che tanto per me aveva significato, dandomi una città da amare ed insegnandomi cosa l'amore non fosse, se ne era andata per sempre e le mie preghiere sembravano non arrivare più all'orecchio di Dio.
- Ma, caro, tutte le preghiere arrivano all'orecchio di Dio! Forse che non lo sai?
Forse che i tuoi preti non te l'hanno mai insegnato?
- Ma certo, certo, lo sapevo, eccome! Ma, tra il sapere ed il sentire, un abisso di tenebra t'avvolge ed il significato del tuo credere inizia a sfuggirti dalle mani.
Strano, strano davvero, come la morte cambi le tue prospettive e metta alla prova le tue certezze. Non puoi nemmeno "afferrare" o inquadrare il problema: davanti, ti si pone come una parete nera e non sai da dove iniziare ad inquadrarla.
Se penso alla morte, vedo una parete nera.
- Allora, scusa, se vedi una parete nera, perché sono qui?
- Beh te lo spiegherò, te lo spiegherò! Con calma! Quanta fretta! Posso riprendere il racconto?
- Va bene, va bene. Continua, ti ascolto.
- Possiamo darci del tu? Lo preferisco e poi, ormai, abbiamo già iniziato a farlo.
- Certo, caro, certo. Non c'è problema -e mi sorride. Ed il suo sorriso sembra non finire tanto è grande e luminoso.
- Vedi, avevo tentato nuovamente ma, al suo rifiuto di ricomporre la nostra amicizia (forse per il mio inappropriato regalo di Natale) desistetti e mi lasciai andare. Febbraio fu un inferno: mi rinchiusi in camera, vissi poco la mia vita e l'Università. Mi lasciai andare... Le coperte erano le mie più care compagne, il sonno solo mi dava conforto, non conoscevo più l'odore della carta. Caddi talmente in basso che rialzarmi non fu più possibile e, quando qualche mese dopo ci provai, caddi più rovinosamente di prima.
Fra Marzo e Maggio, però, grazie anche all'aiuto di una persona a me carissima, il mio compagno di stanza, sono riuscito a riprendermi ed a riprendere forza e vigore, sebbene sentissi ancora fortemente le mancanza di lei e risentissi ancora del lutto che mi stringeva il cuore. Ma le carte mi erano dure perché il mio pensiero, incapace di condensarsi, verteva su una cosa sola.
Solo Giugno, però, mi riportò la pace nel cuore: chiusi definitivamente con Silvia e col suo fantasma che mi angosciava. Dovevo pareggiare i conti, mettermi a posto l'ostinato miocardio e rendermi conto di quali fossero i fantasmi che mi angosciavano: dovevo farlo, perché così solo sarei stato nuovamente in grado di amare e di amare davvero. Ma i molti mesi avevano giovato non solo alla mia propria consapevolezza, anche al rapporto con la mia cara amica: rapporto che recuperai e strinsi con eguale forza di prima.
- Aspetta un attimo, il tuo compleanno è a Marzo, vero?
- Sì
- E dunque?
- Dunque cosa?
- Il tuo compleanno ti ha sempre ricordato tuo padre ed il Luglio prima eri andato proprio alla ricerca di quelle tue radici: possibile che, questa volta, tu non abbia proprio niente da dire sul tuo compleanno?
- Mi sono scritto una lettera -dissi imbarazzato.
- Che?
- Mi sono scritto una lettera - ripeto, questa volta con tono monocorde.
- Perché lo avresti fatto?
- Perché è la lettera che ho sempre desiderato e, giacché non la riceverò mai, fingendomi padre l'ho scritta ad un ipotetico figlio presente nella mia vita.
- Mi dispiace, ragazzo.
- Non ti dispiacere, ormai ci sono avvezzo. Sembro giovane, ma queste spalle hanno portati più anni di quanti tu sappia.
- Cosa c'è scritto nella lettera?
- No, ascolta: non ho molta voglia di parlarne. Questo è stato un anno triste e non ho davvero voglia di rivangare quel momento. Se potessimo andare avanti, te ne sarei grato.
- Sì, tranquillo. Come vuoi. Riprendi pure: dov'eri?
- A Giugno, al fatto che potei passare avanti da un rapporto finito da anni e che ne recuperai un altro che credevo perduto.
- Perché lo recuperasti? Non avresti preferito tenertela lontana dal cuore?
- No, non potevo: sebbene fossi convinto di non provare più alcun tipo di sentimento per lei, non potevo non portarle affetto. Mi era cara.
E, poi, non sono solito lasciare così facilmente le persone che ho chiamate amiche, anche una volta sola. Non potevo...   E, per un poco, credetti d'esser salvo e tutto sembrava andare meglio.
- Perché "sembrava"?
- Le carte. Le carte mi erano ancora dure. Infatti, non mi alzai più. E Luglio fu il mese più duro: quando mi resi conto di dovermene andare, piansi amaramente. Quando mi resi conto che avrei dovuto abbandonare i bei colli senesi, piansi amaramente. Quando mi resi conto che avrei lasciata lei, piansi amaramente.

L'odore del caffè mi ricorda la cuccumetta sul fuoco ormai da un po'.

- Scusami un momento -mi interrompo- credo sia pronto il caffè.
Vado in cucina. Spengo il fuoco; prendo un cucchiaino con cui girare il caffè, ancora nella cuccumetta, e lo verso poi nelle tazzine. Prendo la zuccheriera e metto tutto su un vassoio, tornando così in salotto.
- Ecco -riprendo- non l'ho zuccherato, non sapevo quanto metterne.
- Grazie, va bene così. - E prende a sorseggiarlo caldo e amaro.
Mi verso un cucchiaino e mezzo di zucchero e riprendo a parlare.
- Stavo dicendo? Ah sì, ecco: il giorno più duro di quel Luglio fu quello in cui le parlai, in cui le dissi di dovermene andare. Non avevo accettato la cosa neppure io e stare a parlare lì con lei fu dura. Perché, per la prima volta da qualche mese e per la prima volta da quel giorno di Giugno in cui mi fece giurare che i miei sentimenti erano chiari, mi resi conto di essere ancora innamorato di lei.
Me ne resi conto quella sera, quando mi abbracciò.
Quando mi diede quell'unico e potente "abbraccio significativo": nessun filtro avrebbe mai potuto funzionare allo stesso modo.
Le mie mani erano il mio cuore ed era il mio cuore ad abbracciarla, fu il mio cuore quello che toccò quando ci salutammo.
- Poi, però, sei tornato. Così ho letto.
- Letto? E dove?
- Sul tuo blog!
- E perché mi stai facendo parlare allora?
- Beh, mi piace sentirmi raccontare le cose! Son vecchio stile io... - e sorride nuovamente di quel sorriso che ora conosco.
- Sì, sono tornato, è vero. Per il motivo sbagliato però.
- Cioè?
- Quella possibilità di scegliere, in Agosto, fu una benedizione: avrei potuto riscegliere con più forza e con maggior decisione e concretezza il cammino intrapreso, ma non lo feci. Tornai per un altro motivo. Tornai per lei.
- Ma lei non aveva già messo in chiaro le cose?
- Sì, assolutamente. Lo sapevo, ne ero conscio: infatti, quando tornò a Siena, iniziai a comportarmi freddamente. Distaccato e solido, come un muro, ma non abbastanza da farle sospettare che i sentimenti in me fossero rinati.
- E poi?
- E poi è accaduto quello che sai. Quello che sai e di cui non ho voglia di parlare.
In quello stesso periodo, però, in quegli stessi giorni, stavo per perdere tutto: avevo scommesso di poter ricominciare, sebbene mi ero ingannato fin dal principio sui presupposti, ed i giorni mi erano contrari. I giorni in cui fui con lei coincisero, tra le altre cose, con l'anniversario di quella morte cui ti accennavo all'inizio.
Ed io, seppure preso da lei, mi abbandonai allo sconforto e dissi, ai miei più cari amici ed a lei stessa, cose su me stesso che non pensavo.
Le dissi perché, davanti a me, vedevo il muro nero della morte ed in quei giorni io pure mi sentivo scendere nella fossa. Davanti alla sua morte, non vedevo il mio futuro. L'abisso mi sembrava troppo profondo, il salto troppo grande.
- Ti ripeto, allora, la domanda che t'ho fatta prima: se vedi un muro nero, perché sono qui?
- Da quanto ci conosciamo io e te? Poco, effettivamente poco. In questi anni, inoltre, non ci siamo frequentati molto. Adesso, però, cara speranza, voglio che abiti il mio cuore. Questo anno, lo sento, è il mio anno: il mio Anno Zero.
Da qui voglio ricominciare e voglio che tu abiti il mio cuore.
Voglio che abiti il mio cuore per ridargli luminosità, perché quella parete diventi bianca, perché io possa riprendere a "vivere" e non più "vivacchiare".
Perciò, cara Speranza, voglio farti una proposta oscena.
- Una proposta oscena?!
- Sì, o meglio, prematura (dato il nostro rapporto) più che oscena.
- Devo spaventarmi?
- Dipende -mi inginocchio e tiro fuori un astuccio- Questo è il mio Anno Zero, da oggi io ricomincio: -nell'astuccio c'è una chiave - vieni a vivere con me! -.

Claudio



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