Il matrimonio pugliese (pt. 1)


Miei amati cari quattro lettori, v'avevo promesso che poco per volta avrei trattato molti temi che avevo lasciato indietro nel tempo ebbene è giunto il tempo di parlare del matrimonio pugliese, ormai entrato di diritto nella mia mente come ricordo e per giunta ricordo prepotente.
Andiamo con ordine, chi sono gli sposi?
La sposa è una professoressa di Lettere, supplente durante il nostro terzo anno di Liceo, che è rimasta cara al mio cuore ed evidentemente questo povero naufrago deve anch'egli averle lasciato qualcosa nel tempo (benchè mi chieda cosa, non ho poi così molto da dare): non avrei altrimenti potuto sperare d'avere la sua amicizia prima e la partecipazione a questo evento così importante per la sua Vita, poi.
A questo punto passiamo allo sposo: lo sposo è un martire.
Si è votato a seguire nostro Signore sul Calvario solo che, essendo passata di moda e la flagellazione e la crocifissione, ha scelto la via più lunga eppure di sicura riuscita: il matrimonio.
Ah, Michele, Michele! (tale infatti è il suo nome) Michele, caro, a quale croce vai sottoponendoti! Quanto lunga è la via del martirio!
Quante lacrime di sangue piangerai!
Quanto vorrai quel giorno aver detto, come i concorrenti di una famosa trasmissione: "Ringrazio il Dottore (il buon Dio in siffatto caso) e rifiuto l'offerta!" Michele, uomo dotato di spirito di sacrificio dunque, virtù eroiche non enumerabili tante ne ha, fedele a Santa Romana Chiesa!
Entriamo ora nei dettagli del viaggio, odissea a colpi di preghiere, che tanto m'ha visto compiaciuto il giorno delle nozze ma stanco quelli precedenti.
Circa alle 17, la mia persona prende da Terracina insieme con una sua ex compagna di classe, il treno diretto a Roma Termini.
Da qui, giriamo un poco Roma: per la verità l'ho portata, dopo essermi perso diverse volte ed aver solo dopo ricordato la strada, a San Pietro in Vincoli. Avevo voglia, anche a Roma, di sentirmi a casa in una chiesa e poi di osservare il magnifico Mosè del Michelangelo che è lì conservato.
Troviamo chiuso. Sapete, trovare una chiesa chiusa è una sensazione orribile, è come se qualcuno ti avesse chiuso violentemente in faccia la porta di casa: l'unico luogo dove ci si può sentire sicuri. E' profondamente desolante: quasi come il Tabernacolo vuoto il Venerdì Santo, sensazione di cui vi ho già messi precedentemente a parte.
Immaginate poi tutto questo andirivieni con  la valigia al seguito: immancabilmente ad aggiungersi alla frustrazione per aver sbagliato più volte strada e a quella per aver trovato la chiesa chiusa, c'è quella d'aver pesantemente macchiato (con grasso nero) i pantaloni.
Ero davvero di pessimo umore.
Decidemmo così di prendere la metro e andare direttamente a Tiburtina per prendere l'autobus per Policoro, città della Basilicata che ha dato i natali allo sposo, e non perdere quindi ulteriore tempo.
Arrivati a Tiburtina alle 20.30 abbiamo pazientemente atteso due ore "parlando cose, che 'l tacere è bello,/ sì com'era 'l parlar colà, dov'era." direbbe il Maestro. Avete dunque inteso che non posso mettervi a parte di ciò di cui si parlò nell'attesa.
Il nostro pasto frugale l'avevamo già consumato scesi alla fermata Tiburtina della metro: un panino mandato giù in fretta e furia, tanta pena avevamo di presentarci prima onde evitare qualcuno ci dicesse che nella ricerca del luogo in cui tali pullman sarebbero partiti, avevamo perso il nostro.
Per quelle due ore che , quindi, uccidemmo così, la noia non ci toccò: tuttavia proprio nel momento di dover salire sul pullman, anzi all'atto di partire, chiesi di fermare tutto perchè mi stavo sentendo male e scesi in fretta, attraversai il piazzale enorme e mi recai nel bagno dello stesso bar in cui circa un'ora prima avevo preso due caffè (un espresso ed un macchiato), mi sciacquai violentemente il viso, mi imposi la calma, stetti a guardarmi per qualche secondo allo specchio dopodichè corsi fuori dal bagno e, con una velocità che davvero ricordava i miei anni migliori, corsi verso il pullman in partenza davanti al quale mi parai per farlo arrestare.
Per mia fortuna, il conducente frenò di scatto, era infatti appena partito, e capita la situazione mi fece salire senza problemi lanciandomi però uno sguardo torvo, come a rimproverarmi d'avergli causato ritardo.
Strano però, egli stesso era in ritardo di circa una mezz'ora.
Il viaggio, lungo e assurdo considerando che era da farsi in pullman e la mia persona purtroppo soffre tutti i mezzi dotati di quattro ruote, mi vide legato al mio lettore musicale fino alle 3.30, quando cioè, un quarto d'ora dopo la fermata di metà viaggio, si spense ed io non ascoltai più Quasimodo e le sue Campane. A quel punto presi dalla borsa il rosario, la compagna al mio fianco dormiva d'un sonno inquieto e tormentato, ne presi il libretto e comincia la recita. La allungai il più possibile, sicchè alle 4.15 circa, l'avevo terminata. La mia compagna non dormiva completamente e s'era perciò sorbita in parte il mio rosario.
Alle 4.30 il pullman cominciò a lasciare a terra i primi poveri malcapitati che come noi erano in viaggio su quel pullman.
Alle 4.45 fummo avvisati che saremmo arrivati a Policoro con circa mezz'ora di anticipo, alle 5.30, dunque.
La mia persona e la sua compagna a tale avviso si svegliarono concitati ed iniziarono a chiamare la persona che sarebbe dovuta venire a prenderli:
S. Michele, lo sposo. Per un qualche strano motivo, quel giorno stavano andando storte una dopo l'altra, il suo numero era inesistente.
Impossibile, dicevamo fra noi, l'abbiamo chiamato prima di partire. Tentammo col mio telefono, nulla. Il numero non esisteva.
Passammo diversi minuti in preda ad una strana ansietà.
Infine, anche noi fummo scaricati. Io tremavo da capo a piedi, non tanto per la situazione dl numero inesistente, quanto per il viaggio.
Quel viaggio mi aveva distrutto e per via dei caffè presi la sera prima non ero riuscito a chiudere occhio.
Appena toccai terra, le gambe tremarono.
Riempii i polmoni dell'aria fresca del mattinoe iniziaia ringraziare Dio per la bellissima giornata, lodandolo con le prime preghiere che mi vennero in mente: in Nunc Dimittis, il Cantico di Zaccaria, le preghiere del mattino.
Spuntò il sole e ringraziai Dio anche per questo.
Era l'alba di venerdì 9 settembre.
Il matrimonio sarebbe stato il giorno seguente.
 
§

Miei amati cari quattro lettori, spero il racconto sino a qui sia stato chiaro ed esauriente, tornerò più tardi oppure domani con la seconda puntata.
A presto. Vostro,
Claudio

Commenti

  1. Sono oltremodo curiosa di sapere come proseguì codesta affannosa e sorprendente AVVENTURA!......Chissàààààààààààà :)

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